martedì 3 febbraio 2015

Settant’anni dopo - Comprendere è impossibile, conoscere necessario

 di Renzo Balmelli 

 

MARTIRIO. A settant'anni dalla liberazione di Auschwitz ad opera dell'Armata rossa, la Giornata della Memoria è una preziosa occasione per dare testimonianza al mondo di quanto avvenne in quei luoghi del martirio. E per ricordare alle giovani generazioni che cosa ha significato l'Olocausto, quella infernale macchina di morte, pianificata con burocratica pignoleria, che non fu solo l'opera di un folle, ma il frutto bacato di complicità, indifferenza e vergognosi silenzi. Sullo sfondo della ricorrenza, che inchioda i colpevoli, tutti i colpevoli, alle loro responsabilità per le leggi razziali e lo sterminio del popolo ebraico, risuonano profetiche le parole di Primo Levi quando afferma che "se comprendere è impossibile, conoscere è necessario". Conoscere per non ricadere nell'abominio , mentre antisemitismo e neonazismo tendono a guadagnare terreno nel delirante tentativo di banalizzare o addirittura negare il male assoluto.

 

AMBIGUITÀ. Una questione importante riguardo al nazionalsocialismo è il fattore che ne promosse il successo tra alcuni intellettuali di chiara fama, contagiati dal suo fascino perverso. La questione è stata a lungo occultata agli occhi dell'opinione pubblica, quasi non esistesse o fosse un banale incidente di percorso. Mentre invece rimane di cruciale importanza come conferma il dibattito sempre aperto e attuale su Martin Heidegger il cui rapporto col regime hitleriano è stato oggetto di varie interpretazioni fino alla lettura dei "Quaderni neri" (mai titolo fu tanto emblematico), dai quali è emerso in modo evidente il suo antisemitismo e l'adesione al nazismo. Tutta la discussione verte ora attorno alla domanda in virtù della quale o si è nazisti o si è filosofi. Orbene, a dispetto del contributo dato al pensiero filosofico dal capo scuola dell'ontologia esistenzialista, la risposta non ammette ambiguità: entrambe le cose insieme sono impossibili. Da qualche parte c'è un errore irreparabile.

 

DERIVA. Di fronte agli attacchi portati da forze minacciose alla libertà di opinione in questo primo scorcio del 2015 segnato dal terrorismo dell'IS e di Al Qaeda, l'Europa ha ritrovato, come per incanto, la sua matrice identitaria che non si riduce alla sola moneta unica, per quanto importante essa sia. Al di la della facile retorica, quei capi di stato e di governo che come in un quadro del Volpedo hanno marciato nella Parigi colpita al cuore, oltre a essere un'immagine simbolica, rappresentano il più valido antidoto alla barbarie ed a qualsiasi tentativo di seppellire convivenza e tolleranza sotto il fanatismo ideologico. L'alternativa sarebbe l'apocalisse e la fine della civiltà. Col tempi che corrono bisognerà moltiplicare gli sforzi per contenere la deriva oscurantista e xenofoba. Non di meno il confronto delle idee e dei valori in uno spirito di eguaglianza, libertà e democrazia è l'unica battaglia che vale la pena di combattere per conto dell'umanità intera.

 

SVOLTA. E' una sfida che fa tremare i polsi, giocata su promesse che sembrano una missione impossibile, quella che si prepara nelle sale di Palazzo Charlemagne dopo il trionfo della sinistra radicale greca capitanata da Alexis Tsipras, il leader di Syriza che alle icone ortodosse ha sempre preferito quelle comuniste. E' la sfida attorno a una nuova idea d'Europa che prova a ridare speranza e dignità a un popolo strangolato dai debiti e dal malgoverno che li ha provocati. Oggi Atene agita Bruxelles così come la principessa figlia di Agenore mise in subbuglio il cuore di Zeus. Oltre la mitologia, nella realtà di oggi la svolta dell'elettorato ellenico è una storia ancora tutta da scrivere, piena di incognite, di rischi, ma anche permeata di attese, che la buona politica dell'UE non può ignorare. Il nuovo premier dovrà dimostrare – osserva El Pais – se egli stesso è un sintomo della crisi greca o la sua cura. Se dovesse fallire, se la sua luna di miele con il Paese dovesse deludere, le conseguenze sarebbero devastanti. Per la Grecia, ma non solo. Pensare tuttavia di abbandonare Atene al suo destino è una scelta che metterebbe seriamente in dubbio l'affidabilità del progetto europeo.

 

SCONCERTO. Sempre caro mi fu quest'ermo colle, con la non trascurabile differenza che qui, rispetto al Leopardi, v'è ben poco di poetico e molto di politichese in senso stretto. La partita per la successione di Napolitano, che dovrebbe conoscere il suo esito fra 48 ore, si gioca ormai in un clima incandescente scandito dal "renzusconismo", ossia quella strana miscela di interessi il cui nome dice già tutto. Con ogni evidenza, tra lo sconcerto degli osservatori, sulla corsa al Quirinale pesa l'ombra ingombrante del famigerato patto del Nazareno che spacca maggioranza e minoranza. Se prima Berlusconi era nell'anticamera del Pd col cappello in mano, ora pare abbia trovato un posto nel salotto buono della maggioranza. Come dire che l'ex Cavaliere, mentre sta ancora scontando la pena alla quale è stato condannato, darà il suo consenso al nome che il premier gli proporrà se avrà la garanzia della grazia e del ritorno alla piena agibilità politica. Ai tempi di Bismarck si chiamava Realpolitik, oggi inciucio, ma forse sono la stessa cosa.

 

PRAGMATISMO. Quando il gotha della politica planetaria corre a frotte ai funerali di stato, non è mai soltanto per porgere le condoglianze e rendere omaggio al successore. Basta guardare d'altronde la dimensione e la qualità della delegazione di Washington alle esequie di re Abdullah, il sovrano dell'Arabia Saudita scomparso a novant'anni, per misurare l'importanza che Obama attribuisce al ruolo cruciale della diplomazia di Ryad in questo angolo del mondo seduto su una polveriera. Già il fatto che la nazione saudita sia al tempo stesso custode dei luoghi santi islamici e leader del mercato petrolifero evidenzia le contraddizioni e la complessità della situazione su cui incombe la minaccia del Califfato. Ora gli occhi sono puntati sul successore, il nuovo re Salman, noto per il suo pragmatismo, ma che deve ancora dimostrare, soprattutto nell'ottica americana, di sapere gestire la transizione, portando avanti le stentate aperture nel campo dei diritti umani e delle rivendicazioni femminili senza incorrere in laceranti vuoti di potere nell'ambito della sterminata famiglia che conta centinaia se non migliaia di principi.