di Renzo Balmelli
DIVERGENZE. Sembrano preludere alla fine dell'incantesimo tra Roma e Berlino, le forti divergenze sul piano economico emerse in questi giorni tra le due capitali, mentre in Italia la ripresa fatica a manifestarsi e la Germania mostra a sua volta qualche inciampo. Nel delinearsi di un ipotetico asse franco-italiano in alternativa alla presunta egemonia tedesca si intravvedono i segni premonitori di uno scontro tra le così dette tesi rigoriste germaniche e una linea di maggiore flessibilità che a nord del Reno chiamano immobilismo. Sono concetti antitetici e deleteri per l'UE, tenuta a remare nella stessa direzione, e che invece sono grasso che cola per gli euroscettici sempre in agguato.
MERCATO. Quando è a corto di mano d'opera la Germania fa shopping in Italia. Certo non sono più i tempi dei lunghi convogli carichi di emigranti con le valige di cartone, fiaschi di vino e panini alla mortadella. Ciò malgrado la Repubblica federale continua a guardare con interesse a quanto offre il mercato del lavoro italiano e promuove iniziative nel Meridione per reclutare personale. Poi lo forma, insegna la lingua e offre un periodo di prova di sei mesi. Insomma non più solo braccia, ma uomini. Forse anche in questo sta la differenza tra i due Paesi: nella disoccupazione che nella Penisola sfiora il 13% (contro il 4,9%) e nelle incognite di un domani ancora scarso di prospettive.
FUGA. Non solo sud. Anche il nord, che per definizione dovrebbe essere la locomotiva del Paese, contribuisce in misura ragguardevole a incrementare il nuovo flusso migratorio. Dati alla mano, è la Lombardia la regione dai cui parte il numero più cospicuo di emigranti diretti in Europa e nelle Americhe alla ricerca di lavoro e di opportunità che la madre patria non sa offrire. Tanti italiani se ne vanno coi loro titoli di studio non per libera scelta, ma per necessità, in attesa che sul problema del lavoro, al centro del vertice di Milano, si compiano davvero passi importanti. Ma al momento la fuga dei cervelli resta un fenomeno inquietante sul quale il governo deve intervenire con prontezza.
SDEGNO. Crisi o no, io questo lavoro non lo fò. Più o meno con queste parole e la voce vibrante di sdegno, un avvocato di Berna, disoccupato di lungo corso mantenuto dalla città, ha respinto il posto di spazzino che gli era stato proposto per non pesare sulle spalle dell'assistenza pubblica. In cambio pretendeva un impiego più consono alla sua formazione, finendo però col perdere il sussidio. Nella ricca Svizzera chi è disoccupato è guardato con sospetto, non di meno il caso ha aperto il dibattito sull'opportunità di accettare un impiego qualsiasi, considerato che determinate attività sembrano ormai riservate agli immigrati, deprecati ma indispensabili.
TORTURA. Se gli animali domestici avessero il dono della parola, quante ne racconterebbero ai loro Sigmund Freud sulle asfissianti e discutibili attenzioni cui vengono sottoposti dai loro proprietari. Per capire l'ampiezza del fenomeno che tende a trasformare cani e gatti in bellissime persone basti sapere che in Occidente si spendono miliardi e miliardi di dollari l'anno in cibi raffinati e accessori inutili per gli amici a quattro zampe. Più che amore è ormai una tortura che oltre a snaturare l'animale, rende ancor più crudele il confronto con le aree del sud del mondo in cui milioni di individui muoiono di fame e di sete o al massimo dispongono di un dollaro al giorno per sopravvivere.
BON TON. Con la sua ormai leggendaria collezione di "gaffes", Joe Biden, sfidando l'ironia di Washington, ha spiattellato un paio di verità scomode sull'Isis che attacca, uccide e decapita. Ciò che non si può dire in via ufficiale, il vicepresidente lo ha fatto trapelare con parole sue, lasciando intuire la frustrazione della Casa Bianca per la coalizione degli indecisi che in passato avrebbe avuto un comportamento troppo passivo nei confronti del califfato. Le reazioni inviperite non si sono fatte attendere, ma sebbene il vice di Obama non padroneggi la gelida Realpolitik di un Kissinger, quanto è sfuggito dalle maglie del bon ton diplomatico forse non è ne casuale ne sbagliato.
RIGORE. Pur desiderando soltanto il meglio per i suoi abitanti, non si può certo dire che l'Italia sia priva di problemi, anche molto grandi. In simili circostanze non si avvertiva assolutamente la necessità di cavalcare le mille polemiche del dopo Juventus-Roma per pavoneggiarsi in Parlamento con una interrogazione sul calcio che sfida il ridicolo per il palese il tentativo di mietere facili consensi. Anziché placare gli animi, già tesi per ragioni più serie di una partita, l'idea di portare il pallone in aula e' stato un cattivo servizio reso alla politica. Meglio sarebbe stato attenersi alla saggezza del compianto Boskov il quale affermava che "rigore è quando arbitro fischia". E tanto basta.