giovedì 16 ottobre 2014

Genova, gente tosta

Avevano quell'espressione un po' così descritta da Bruno Lauzi, i genovesi usciti dai caruggi e dalle case per spalare il fango dell'alluvione e del malgoverno.

di Renzo Balmelli

INADEMPIENZE. E' gente tosta da queste parti, stretta tra il mare scuro e la montagna; tosta e incredula per quello che è successo alla loro città, soprattutto se si guardano le cause. Sulla baia "figlia di luce e di foschia", per dirla con il cantautore, sembrava fosse arrivata la punizione, però non venuta dalla fatalità, ma dagli uomini. Mentre ora si stanziano milioni in tutta fretta per la ricostruzione, Genova paga il prezzo delle inadempienze e dei soldi spariti chissà dove, sepolti sotto le parole di circostanza della politica.

DELIRIO. Non c'è soltanto il passato che non passa. A rincarare la dose vi sono pure le persone che "hanno la testa più vuota che rasata", come le ha definite il sindaco di Roma Ignazio Marino stigmatizzando gli autori delle squallide celebrazioni a un anno dalla morte del boia nazista Erich Priebke. Oltre che nauseante, l'omaggio al responsabile dell'atroce massacro delle Fosse Ardeatine rivela che ancora oggi esiste un universo sommerso, intriso di ideologie bacate , in cui l'ex gerarca di Hitler viene visto al pari di un valoroso combattente dedito al dovere nazionale. Rendergli onore, dicono, " è una sconfitta della prevaricazione ebraica". Delirio puro, da brivido.

SLOGAN. Agli euroscettici piace molto il vecchio giochino di lanciare il sasso e nascondere la mano. Conquistano il primo seggio al Parlamento britannico, fanno leva sui sentimenti più riposti, ma quando si tratta di varare proposte serie sono fermi agli slogan di facile suggestione. Mal gliene incorse anche ai nazionalisti svizzeri che credevano di avere il paese in mano dopo avere portato alla vittoria l'iniziativa contro gli stranieri. Adesso si rendono conto che le ricadute di quel voto dal vago sapore xenofobo possono costare caro alle relazioni estere della Confederazione , sicché il loro leader, il tribuno dell'UDC Blocher, prova a cambiare le carte in tavola tra lo sconcerto dei suoi elettori.

BIONDE. L'unico fumo visibile in Vaticano è quello nero o bianco che a seconda del colore annuncia l'avvenuta elezione o meno del nuovo Papa. Così almeno si credeva, fino a quando le solite indiscrezioni dal sen fuggite hanno rivelato "urbi et orbi" che un altro fil di fumo aleggia nei palazzi della Curia romana: quello delle sigarette in dotazione ai cardinali, per un benefit di 500 pacchetti al mese. Mica bruscolini! Ma qualcuno ha mai visto un porporato fumare? Nessuno. Almeno in pubblico. Da qui la domanda maliziosa: cosa se ne fanno i Principi della Chiesa con le stecche di bionde? Le regalano, rispondono. Con l'avvertenza, si spera, che se fumare non è peccato, tanto bene alla salute non fa.

ANIMA. A Torino la classe operaia non va più in paradiso. Per la verità già da parecchio. Ma mai come questa volta, con il tramonto del Lingotto, la scomparsa del glorioso marchio FIAT e il trasferimento in sedi estranee alla cultura piemontese, la cesura è parsa così netta, irrevocabile e dolorosa. Per una volta non è ovvio dire che finisce un'epoca, quella segnata dalla mitica 500 che cambiò il volto dell'Italia, e quella di epiche battaglie sindacali per i diritti e la dignità dei lavoratori. La saga degli Agnelli, ferrei, ma non arroganti guardiani del capitalismo d'antan, lascia il posto a una nuova generazione globale alla quale manca però una componente essenziale: l'anima.

CARNEADE. Quando c'è di mezzo la letteratura ogni lettore ha i suoi Nobel ideali. C'è chi considera un affronto imperdonabile il mancato riconoscimento a Mario Luzi, oppure non cessa di deprecare l'indifferenza mostrata dall'Accademia svedese nei confronti di Philip Roth, il maggiore scrittore americano vivente. Ma liquidare con uno sbrigativo "Carneade, chi era costui", il premio attribuito al francese Patrick Modiano va oltre le idiosincrasie e richiede se non altro di approfondire la conoscenza di un autore, di lontane origini italiane, che viene accostato a Proust nella dolente ricerca del tempo perduto. Come quarto di nobiltà nel campo delle lettere non è proprio cosa da nulla.

BURRO. Chissà se prima di metterlo in commercio, qualcuno si è accorto del clamoroso infortunio linguistico occorso a una delle più grandi aziende elvetiche del ramo alimentare. A quanto pare no perché il prodotto di cui si parla, un burro speciale per arrostire, è arrivato sugli scaffali dei supermercati come se nulla fosse. Peccato che in due delle tre lingue ufficiali la descrizione sia grottesca. Se in tedesco la dicitura è corretta, ossia "Burro svizzero per arrosti", in francese e in italiano diventa "burro per arrostire svizzeri". Che gaffe! I consumatori l'hanno presa sul ridere, ma al “prosatore”, prima di finire in padella, non farebbe male un viaggetto a Firenze per sciacquare i panni in Arno.