di Renzo Balmelli
SHOCK. Alla fine del combattuto passaggio elettorale l'Europa non ha subito la paventata sconfitta irreparabile che sembrava delinearsi sui fondali dell'ostracismo e del livore rancoroso, come invece avrebbero tanto desiderato le malefiche Cassandre che si auguravano la morte dell'UE dentro l'urna. Urna che in questo caso aveva un evidente doppio significato. Ma lo shock c'è stato, inutile negarlo, e ora per risollevarsi dall'avanzata dei populisti, visceralmente ostili alla costruzione comunitaria, l'Unione è condannata a vincere e consolidarsi muovendosi senza indugi nel solco dei sogni genuinamente europeisti dei Padri fondatori. Per farlo avrà a disposizione cinque anni di tempo durante i quali dovrà dare fondo a tutte le sue risorse etiche, morali, culturali ed economiche al fine di dimostrare quanto sia insensato e anti storico lo splendido isolamento britannico, ma soprattutto quanto sia insopportabile la macchia nera che, molto peggio di quanto è accaduto oltre Manica, deturpa l'immagine della Francia, culla dei lumi e della fratellanza. Quel voto sconvolgente, che scatena l'avidità del Front National deciso a scalare l'Eliseo e ad imporre un sistema retrogrado, infatti non segna soltanto la rivolta rabbiosa degli euroscettici, ma indica qualcosa di molto più inquietante. Nella sua virulenza sciovinista il verdetto di una larga maggioranza di francesi riesuma le pagine più tristi e vergognose nella storia recente di questa grande Nazione che in un momento di crisi e di sconforto pare abbia dimenticato la sua dolce Marianne preferendogli la meno allegorica Marine.
DEMOCRAZIA. Adesso l'essenziale è che l'UE non faccia la stessa fine delle "anime morte" di Gogol, ma che la sua anima, andata persa in quella che non sempre a torto è stata percepita come la soffocante burocrazia di Bruxelles, la ritrovi in fretta per proseguire il suo cammino senza cadere in preda al disincanto. Se fossero gli scettici a dettare l'agenda politica, per le generazioni future si aprirebbe una voragine piena di incognite. Occorre dunque fermare la deriva populista prima che diventi uno tsunami e sfoci in una situazione estrema che fa gridare all'orrore già al solo pensiero che tre neonazisti, eredi di una ideologia bacata, andranno a occupare i banchi del Parlamento di Strasburgo. Lo sforzo maggiore sarà di riportare la democrazia dentro l'Europa, ma avendo l'accortezza di non trascinare nelle istituzioni votate al bene comune dei 27 le beghe, le meschinità, gli intrallazzi e le insulse ripicche delle parrocchie nazionaliste che spesso hanno frenato l'attuazione di programmi a largo respiro e condivisi per il rilancio della crescita e dell'occupazione, più necessario che mai. Sono in gioco, non dimentichiamolo, settant'anni di pace e molti altri a venire.
PROMESSA. Verrebbe quasi da dire: incredibile, ma vero. A bocce ferme il riformismo italiano, più volte paralizzato dall'infausto ventennio berlusconiano, potrebbe diventare un punto di riferimento e un laboratorio per l'Europa turbata dagli estremismi e in cerca di una nuova identità. Non fa ombra di dubbio, in effetti, che il trionfo del Pd, in pratica quasi un monocolore rinforzato dai dati delle regionali in Abruzzo e Piemonte, rappresenti un segnale in controtendenza di cui si dovrà tenere conto quale stimolante risposta agli euroscettici mentre l'Italia si accinge ad assumere la presidenza di turno dell'UE nel delicato clima post-elettorale. Ad ogni buon conto, comunque lo si valuti, nell'ora del giudizio il Bel Paese dopo gli sbandamenti del passato, riscopre la politica, non tradisce, da prova di equilibrio e saggezza, e sconfessa gli avventurieri del potere. Se nell'elenco dei trombati figurano un ex ormai definitivo e uno che dopo tanto vociare sta per diventarlo, uno che con uno slogan ormai privo di senso sostituisce il "vinceremo noi" con il "vinceremo poi", vuol dire che la lezione al termine del lungo viaggio nel deserto del qualunquismo è stata recepita. A chi ha il pallino in mano dopo avere superato la prima investitura popolare, corre ora l'obbligo di non vanificarla, questa lezione, affinché il voto non sia soltanto il prodotto dell'imprevedibilità, non diventi la classica occasione sprecata, ma si trasformi in una vera promessa più forte della paura nel solco della sinistra moderna, scevra dall'inciucio alla Nazareno.
CACAO. Quella del cioccolato è una storia appassionante che risale al 600 dopo Cristo, quando la civiltà dei Maya era all'apice. Sconosciuto in Europa fino alla scoperta dell'America, con i semi trasportati da Colombo divenne ben presto un nettare celebrato dal Casanova ed elevato dagli intraprendenti pasticcieri svizzeri a una forma d'arte della golosità. Con meno voli pindarici, ma tanto pragmatismo, la tavoletta dai mille gusti è stata la carta vincente che ha consentito a Petro Poroshenko, noto nel suo Paese come re del coccolato, di accedere alla presidenza dell'Ucraina dopo avere sbaragliato tutti gli avversari nonostante la presenza ingombrante dello zar Putin e la minaccia del feroce separatismo filo russo. A dispetto delle difficoltà, l'Ucraina a vocazione europea è riuscita almeno per ora, grazie alle elezioni strappate coi denti, a frenare lo smembramento dei suoi assetti scandito dal neo colonialismo di Mosca, anche se l'esito delle presidenziali non basterà per riportare la Crimea sotto la sua bandiera. Ad ogni buon conto, quando verrà invitato al Cremlino, Poroshenko, inventore della diplomazia al cacao, ci andrà di sicuro con una scatola di cioccolatini che non guastano mai per distendere l'atmosfera e smaltire le tensioni.
SEGRETO. In una sua canzoncina che conobbe un momento di popolarità, Renato Rascel si chiedeva dove andavano a finire i palloncini quando sfuggono di mano ai bambini. Al giorni nostri, invece, sono gli evasori provenienti da tutto il mondo a chiedersi dove andranno a finire i loro milioni sottratti al fisco, dal momento che la combinazione per proteggere i compiacenti forzieri svizzeri, reputati un tempo un fortino inaccessibile agli sguardi indiscreti, sta diventando sempre meno sicura. Col lento, ma inarrestabile declino del segreto bancario, il mitico segreto bancario, si stanno infatti aprendo maglie sempre più grandi nel tessuto di una istituzione che risale addirittura al 1934 e che niente e nessuno, né guerre né rivoluzioni, sembrava in grado di scalfire. Ma a quanto pare nemmeno ai piani alti della grande finanza elvetica nulla è eterno e l'accordo richiesto dall'Ocse a Berna per lo scambio automatico di informazioni sui conti cifrati rientra nel quadro delle concessioni reciproche che tolgono la Confederazione dalla scomoda lista nera dei paradisi fiscali, ma lascia gli evasori senza nessuna voglia di cantare e pieni di dubbi sulla sorte dei loro capitali in cerca di nascondigli.
ENERGIE. Dopo La grande bellezza, anche Le Meraviglie. L'Italia torna in prima pagina non soltanto per il voto europeo che la distingue dagli altri, ma anche perché dà segni di risveglio nel campo della creatività che è stata un suo fiore all'occhiello prima di essere anestetizzata dalla stiracchiata indolenza culturale del sultanato di Arcore. Nel cinema, al quale diede capolavori assoluti, la scuola italiana ha ottenuto in poche settimane due riconoscimenti prestigiosi: l'Oscar per il miglior film straniero a Paolo Sorrentino, e il Grand prix du Jury ad Alice Rohrwacher, giovane regista che con le sue Meraviglie, tra api, reumatismi e incantevoli quanto profonde riflessioni su una famiglia di agricoltori divenuta specchio e metafora della società, ha emozionato la sala e la giuria, sfiorando la Palma d'oro al festival di Cannes. Che la giovane regista, prima italiana a vincere sulla Croisette, sia stata accompagnata alla premiazione da una non meno commossa Sofia Loren sotto lo sguardo di Marcello Mastroianni, raffigurato sul manifesto della Croisette, ha avuto un duplice, ed evidente significato: da un lato l'omaggio ai mostri sacri di Cinecittà, dall'altro la conferma che in questo Bel Paese tradito dai cattivi maestri ci sono ancora tante energie da liberare.