di Renzo Balmelli
MITO. Cantano sulle note di "Bella ciao" i partigiani ucraini che svegliandosi la mattina hanno trovato l'invasore russo alle porte di casa nella ridente, ma ora non più tanto, Crimea. Che l'inno della Resistenza risuoni anche da queste parti ha un che di suggestivo e in pari tempo di allarmante, pensando tra l'altro proprio all'incredibile destino della penisola su Mar Nero che – paradosso dei paradossi – Krusciov donò ai fratelli di Kiev senza immaginare che un giorno il regalo sarebbe tornato a Mosca, non più capitale dell'impero, come un boomerang avvelenato. Il brusco se non proprio inatteso ritorno al passato da la piena misura di quanto sia profonda la più grave e per molti del tutto incomprensibile crisi politico-diplomatica che l'Europa si trova ad affrontare dopo la caduta del Muro. Sotto i calcinacci della guerra fredda è come se la storia si fosse rimessa in movimento per scardinare una volta ancora gli assetti del Vecchio Continente. Quegli assetti che Roosevelt, Stalin e Churchill, tentarono di ricostituire dopo gli orrori del nazismo già pensando però, avvolti nei loro cappotti, a come spartirsi il mondo nelle rispettive zone di influenza. E nel vedere come stanno mettendosi le cose, cioè male, pare che al Cremlino il tempo sia rimasto congelato dentro il mito illusorio di Yalta.
PROMESSA. Roma non sarà più la "caput mundi", ma resta la culla dei Trattati comunitari . Negli auspici della sinistra non poteva quindi iniziare che da lì la campagna per le elezioni europee sulle quale dopo i drammatici fatti di Kiev gravano oscuri presagi. Per le forze progressiste la consultazione di fine maggio assume un'importanza quasi decisiva nell'intento di tenere a bada la preoccupante avanzata della destra eversiva che morde alle caviglie. Occorreva dunque dare un segnale forte ed è quanto è stato fatto al congresso degli eurosocialisti sia con l'adesione del Pd al PSE sia con la designazione di Martin Schultz – colui che Berlusconi apostrofò con l'epiteto infamante di kapò – quale candidato socialista alla guida dell'Unione. Dal Tevere sale dunque la solenne promessa di non lasciare nelle mani dei populisti le sorti dell'Europa mentre i demoni della xenofobia cercano di tornare indietro.
AFFINITÀ. Dopo la crociata contro la libera circolazione, la Svizzera comincia a fare i conti col rischio di trovarsi estraniata dal concerto delle nazioni europee. E non sono rose e fiori. Qualcuno ha addirittura proposto di tornare alle urne per fare ciò che non sarebbe stato fatto: spiegare meglio agli elettori l'importanza della posta in palio. Francamente però l'idea appare piuttosto labile nel Paese dei referendum. Certo, avere Mario Borghezio quale paladino della causa elvetica non è che faccia molto piacere ai cittadini rossocrociati. Nonostante alcune affinità elettive, finanche l'UDC del tribuno Blocher che ha promosso l'iniziativa anti stranieri tende a distanziarsi dall'ingombrante compagnia. Ma chi semina vento raccoglie tempesta ed è in questo clima che Berna deve ora misurarsi con i suoi partner abituali per salvare i cospicui vantaggi derivanti dagli indispensabili accordi bilaterali con l'UE.
RIDENS. Se D'Alema stuzzica Renzi ammonendolo di non esagerare con il pop corn per non ingrassare e se il premier replica affermando che seguirà le mosse del rivale sgranocchiando mais gonfiato come se fosse al cinema, di una cosa si può essere quasi certi: il duello a distanza tra la vecchia volpe del Pd e il "fanciullo vivace e goloso" del nuovo corso promette scintille. Ma d'altronde nel politichese un po' barboso dell'ufficialità, un bello scambio di battute ispirate alla commedia dell'arte può tornare utile per risollevare lo spirito. Questi sono tempi poco inclini al castigat ridendo mores e una risata di tanto in tanto aiuta a sfogare la tensione. Ciò che conta, alla fine, è che l'irruzione del simpatico diversivo nell'epico scontro tra le varie anime della sinistra non porti a un uso smodato del pop corn, col rischio, questo sì, di procurarsi un mal di pancia non solo metaforico.
INDIZI. Sarà pure un fortuito concorso d'indizi. Ma i giallisti cresciuti alla scuola di Agatha Christie sanno che tre indizi costituiscono una prova. E' quindi con l'animo del segugio che i Poirot della politica indagano tra le pieghe degli editoriali apparsi sulle testate della premiata casa editrice di Arcore per capire a cosa mirano le serenate a Matteo Renzi. Senza tante perifrasi il capo del governo diventa se non proprio un amico quanto meno un alleato nella lotta al nemico comune: cioè i "comunisti" che da sempre popolano gli incubi del Cavaliere. La coincidenza è fin troppo evidente per essere frutto del caso nel bel mezzo di scelte difficili e compromessi laboriosi sulla via delle riforme e di ciò che ne consegue per la tenuta dell'esecutivo. Tanto più che la conclusione, aperta a svariate ipotesi, è un crescendo di amorosi sensi: Forza Renzi, Forza Italia (sic) che porta diritto alla classica domanda del cui prodest.
MONITO. Come a volte accade con i film italiani d'autore, anche "La grande bellezza" di Paolo Sorrentino, insignita dell'Oscar per il miglior film straniero, al suo apparire ha raccolto più consensi all'estero che in patria. Il ritorno in Italia della statuetta, a quindici anni dal riconoscimento andato a Benigni, dovrebbe comunque consentire di rianimare il dibattito sia attorno alla pellicola, sia nel merito degli interrogativi posti da una società decaduta, senza stimoli e raccolta intorno all'illusione delle feste eleganti. In quest'ottica, al di là del talento indiscutibile del regista, il premio ha una sua indubbia valenza politica intesa come un monito a chi governa, mentre Pompei crolla e Roma frana. A Palazzo Chigi è insomma arrivata l'ora di considerare la cultura, ancora oggi sofferente a causa dell'infausto ventennio berlusconiano, come una cosa viva su cui costruire qualcosa di valido per le generazioni a venire.