martedì 11 giugno 2013

Gli alberi di Istanbul

Hanno una forte valenza politica gli alberi di Istanbul di cui le autorità hanno decretato la morte senza nemmeno riflettere sul significato di un abbattimento che equivale a una ferita dolorosa inferta al tessuto culturale e urbano della città.

  SIMBOLO. Se per Gianni Rodari "ci vuole un fiore per fare un albero", nella interpretazione che ne danno i giovani manifestanti turchi " ci vuole un albero per fare un parco" . La protervia della progettata cementificazione è stata letta come l'anticamera di un atto repressivo e tirannico da contrastare senza indugi al fine di porre un argine all'islamizzazione strisciante e in pari tempo preservare le conquiste dello stato laico. Ed è a questo punto che l'albero diventa un simbolo possente della vita e della libertà.

 PROSPETTIVE. Ai politici indaffarati bisognerebbe consigliare di prendersi una pausa per rileggere un buon romanzo. Molto indicato di questi tempi segnati dallo sconforto e dalle cupe prospettive della disoccupazione giovanile, potrebbe essere Berlin Alexanderplatz, il capolavoro di Alfred Döblin che nel frastuono del traffico e il concitato pulsare della metropoli, riproduce su uno sfondo glaciale le ansie, e le preoccupazioni di un futuro che si tinge dei colori del caos. Il libro uscì nel 1929 e di li a poco la Germania si sarebbe trasformata in acquiescente protagonista del Terzo Reich. Non siamo a questo punto, per fortuna, la democrazia non è ostaggio di sanguinari avventurieri, ma senza un domani la Storia a volte ha la pessima abitudine di clonarsi.

 LA "COSA". Non si fa certo una scoperta nell'affermare che la divisione tra destra e sinistra non scomparirà dalla scena mondiale. Ma chi lo ha mai negato, d'altronde. Per evitare brutte sorprese occorre però stabilire di che sinistra stiamo parlando. La cronaca dell'addio annunciato all'Internazionale socialista sembra una svolta destinata a superare gli ancoraggi ideologici del secolo scorso per spingersi verso la ricerca di un'altra identità. Ma come? Dal rimescolamento sta per nascere – si dice – una nuova "cosa" chiamata "Alleanza progressista", dai contorni ancora da definire. Ma in Italia, nazione apripista e straordinario laboratorio di coraggiose novità, dove di "cose" ne sono nate parecchie, sanno per esperienza quanto sia faticoso lasciare il passato alle spalle, senza rinnegarlo.

 MODESTIA. Forse adesso non usa più, ma un tempo ai bambini capricciosi si diceva che "l'erba voglio non cresce nemmeno nel giardino del re". Beppe Grillo è invece convinto che la suddetta pianticella si espanda rigogliosa nelle sue terre. Da quando fa politica in pratica non c'è "giocattolo" che non voglia: vuole la piazza, vuole il Paese, vuole il governo, vuole il Quirinale, vuole la testa dei giornalisti, vuole la Rete, e ora, dopo averla snobbata, vuole pure la RAI. E cos'altro ancora? Già, dimenticavamo, sognava l'esilio per Bersani che però, senza strepiti, guarda caso, una smacchiatina al giaguaro alla fine gliela anche data. I grlllini no. In casa Cinque stelle, ora ridotte a due stelle e mezzo, un filo di modestia non guasterebbe.

 AUTOGOL. Non ha avuto il tempo di vedere realizzato uno dei postulati per il quale si era battuta al fine di migliorare la condizione femminile. Franca Rame se n'è andata poco prima che la Camera approvasse all'unanimità la convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne, la violenza domestica e il femminicidio. Nel solco tracciato dalla grande interprete ora occorre proseguire sullo slancio per abbattere i pregiudizi duri a morire e dai quali, purtroppo, non è rimasto immune neppure Paolo Villaggio. Cosa gli avrà mai preso al celebre attore di fare il Borghezio e firmare un clamoroso e oltraggioso autogol in riferimento al Ministro per l'Integrazione? Vallo a capire. Per dirla con parole sue, una "cagata pazzesca", come il lapidario giudizio del ragionier Fantozzi a proposito della Corazzata Potemkin.