IPOCRISIA . A Gheddafi resta una sola via d'uscita: presentarsi con tutto il suo clan davanti al tribunale della storia e degli uomini. Fatta questa doverosa premessa, appare nondimeno ambigua la gara ingaggiata dalle potenze occidentali, con Sarkozy a tirare la volata, per ergersi a paladini della futura democrazia libica . E' un ripensamento strano e tardivo da parte di coloro che per anni, in nome di interessi inconfessabili, hanno tollerato le nefandezze del regime . Se ci fosse il campionato mondiale dell'ipocrisia affaristico-diplomatica sarebbero tanti i pretendenti al titolo , gli stessi che fino a pochi mesi fa sgomitavano per stare in prima fila al lucroso banchetto del gas e del petrolio. Al compagno di merenda di Berlusconi veniva concessa ogni stravaganza in cambio di una fiumana di soldi che sparivano nei compiacenti forzieri dei paradisi fiscali. Con trepidazione abbiamo seguito la coraggiosa battaglia degli insorti per riportare la civiltà nel loro paese. Ma il trasformismo di chi ora si proclama loro alleato fa temere l'insorgere di lotte non meno feroci e di nuove sofferenze per il controllo del potere.
IL CASO. Non è mai un buon segno quando la questione morale investe di petto la sinistra e ne mostra falle e debolezze che contrastano con la sua storia e la sua tradizione radicate nell'onestà e nell'estraneità alle sordide vicende del sottobosco politico. Per il rispetto di questi principi inderogabili, nel caso Penati sarebbe oltremodo deplorevole provare a tergiversare con manovre poco chiare. Per uscire indenni dalle sabbie mobili dello scandalo che scuote l'opposizione peggio dell'uragano Irene, occorrono fermezza e trasparenza. Solo cosi' si potranno fugare le ombre che si addensano sulla Tangentopoli di Sesto. Qualsiasi ambiguità darebbe ragione ad Antonio Pennacchi, scrittore ed ex operaio di Latina quando afferma che "con il crollo delle ideologie del Novecento è venuta meno pure l'etica". Il Pd dimostri il contrario, dimostri di essere diverso , specie nelle avversità.
MANOVRA. Li hanno ribattezzati il "quartetto di Arcore", ma rispetto all'altro ben piu' famoso, quello di Alessandria, il risultato del conclave sulla manovra tra Berlusconi, Bossi, Tremonti e Alfano è tutto fuorché un capolavoro. L'unica similitudine con le pagine di Durrell è il disfacimento, il caos totale che regna dentro una maggioranza pronta a tutto pur di sopravvivere. Dal cilindro salta fuori l'ennesima beffa ai danni dell'Italia messa a punto tra le stanze di passati festini e che si regge su due gravi distorsioni: il golpe sulle pensioni che toglie ai poveri per dare ai ricchi e l'evasiva lotta all'evasione che non tange di una virgola i diritti dei soliti privilegiati di serie A. "Manovra- champagne", l'hanno chiamata, ma cio' che resta a conti fatti sono soltanto le bollicine evanescenti di un'altra, clamorosa occasione mancata.
CRISI. In questi tempi di estrema incertezza economica e oscure prospettive politiche, qualcuno si è ricordato di " Ma cos'è questa crisi", simpatico e caustico motivetto in auge negli anni trenta, poi riesumato da Gaber, che faceva le bucce ai grandi speculatori. Il testo in apparenza deliziosamente leggero, ma in verità graffiante e tristemente attuale , pare fatto su misura per quel dirigente di una grande banca svizzera che alla notizia di massicci licenziamenti nel suo istituto , con una faccia tosta e una disinvoltura stupefacenti si professava " tranquillo e ottimista". Aveva visto giusto il Nobel della letteratura Saramago quando ammoniva che le crisi dei mercati sono in primo luogo crisi morali.
CAPITALISMO. Nel mezzo della bufera finanziaria che ha rovinato l'estate piu' delle bizze meteorologiche, non poche sono state le voci che si sono alzata per chiedere di riformare il capitalismo e di ricondurlo alla sua ragion d'essere, ossia la capacità di produrre benessere e lavoro per tutti. Non bisogna piu' lasciare a briglia sciolta un sistema vorace e irresponsabile che sempre piu' accumula i benefici nelle mani di pochi. Occorre dare spazio a una maggiore sensibilità che ponga al centro del problema la solidarietà e le misure atte a ridurre le discrepanze sociali. Sono principi perfettamente condivisibili, ma destinati a naufragare se oltre al capitalismo non si escogiteranno i provvedimenti per riformare i capitalisti.
PERFIDIA. Cosa non farebbe la destra per uno scampolo di potere. Pur di abbattere Obama, il Presidente " socialista e " negro" di cui non ha mai digerito l'elezione, il Tea Party repubblicano non ha esitato a giocare sporco. E poco importa se l'America è uscita umiliata e offesa da una prova di forza che le è costata la tripla A. E' vero che nell'attuale situazione l' inquilino della Casa Bianca non è apparso in piena forma, ed è altresì vero che la leadership democratica è sembrata impacciata, come d'altronde lo sono stati tutti i governi. Ma è altrettanto evidente che gli ultrà conservatori al colmo della perfidia e indifferenti alle conseguenze hanno provato a trasformare gli Stati Uniti in un Titanic alla deriva, pronti ad affondarlo in nome di bacati e confusi ideali revanscisti. Ma la nave, malgrado la tempesta, ha tenuto a dispetto del sabotaggio ideologico.
ALLENDE. Coloro per i quali il passato non solo non passa mai, ma è fonte di persistenti rimpianti, le circostanze della morte di Salvador Allende sono state motivo di gaudio e sarcasmo infinito. Potere finalmente dimostrare che il primo Presidente di sinistra democraticamente eletto in Cile non era caduto in battaglia, ma si era tolto la vita per non finire in mano agli sgherri fascisti ,nell'ottica deformata dei nostalgici equivaleva ad assolvere il regime dalle orrende nefandezze di cui si è macchiato. Sotteso agli sgangherati commenti vi era quindi non tanto il giudizio storico, quanto il tentativo di riabilitare il sanguinario regime di Pinochet che resta invece una delle piu' grandi vergogne del mondo civile.
PAZZIA. In un mondo popolato da preoccupanti rigurgiti xenofobi, si farebbe un grave torto a Erasmo e al suo elogio della follia a definire il norvegese Anders Breivik, autore del massacro di Oslo, un pazzo solitario. La sua visione paranoica e maniacale della società è un cocktail micidiale lontano anni luce dal pensiero del saggio di Rotterdam , ma vicino in quasi tutto e per tutto alle posizioni dell'estremismo populista che vede crescere i suoi seguaci un po' ovunque: anti-islamismo virulento, odio per gli stranieri, nazionalismo spinto, paura del diverso. Teorie bacate , certo, ignobili, che pero' consentono di raccattare consensi a buon mercato senza calcolarne i danni sconvolgenti per la società.
MEMORIA. Sono tempi calamitosi, questi, se Günther Grass minimizza lo sterminio degli ebrei affidandosi a meschini e improponibili calcoli da bottegaio sulla classifica delle vittime tra i soldati tedeschi. Che vittime lo furono, certo, ma caduti nella guerra d'aggressione voluta dal loro paese e quindi, semmai, in gran parte vittime di se stessi e della cieca idolatria del popolo nei confronti di Hitler. Non regge quindi il confronto con la macchina infernale messa a punto nei Lager da spietati contabili della morte contro esseri inermi. Se colui che è stato la coscienza dei tedeschi nel dopoguerra e accompagno' Willy Brandt mentre si inginocchiava al ghetto di Varsavia, si abbandona a simili congetture, forse la relativizzazione della Shoah è già diventata un fatto acquisto, tanto da essere stralciata dai libri di scuola francesi e sostituita con altri termini tanto assurdi quanto vaghi. Nessun altro massacro nella storia dell'uomo è simile all'Olocausto, e gli episodi di cui si parla in queste righe, episodi che riempiono di tristezza, sollevano angosciosi interrogativi su quale sarà la percezione delle future generazioni nell'analizzare una tragedia unica che sul fronte della memoria sembra pero' rimpicciolirsi col passare del tempo.