lunedì 30 aprile 2018

L’ex Cav e l’Ircocervo


 di Renzo Balmelli 
 
IRCOCERVO. Al di là del suo teatrale e imbarazzante stile di governo, a Berlusconi va se non altro riconosciuto il merito, da vero affarista, di sapere inquadrare le situazioni con definizioni di sicuro effetto. Per il dopo 4 marzo e la confusione in cui versa la politica, l'ex Cav è andato a rovistare nella mitologia scoprendo calzanti analogie con l'ircocervo, bizzarra creatura per metà cervo e per metà caprone, usato come metafora di cose impossibili o irrealizzabili. Come appunto conciliare le posizioni di coloro che si contendono Palazzo Chigi tra insulti, dispetti e indecorose messe in scena da avanspettacolo. Deprimente davvero! Eppure, vista la difficoltà di sciogliere i nodi e di dare al Paese un esecutivo all'altezza delle aspettative, per evitare il peggio basterebbe usare un po' di buon senso. Basterebbe lasciare lavorare in pace il silente e discreto Gentiloni che pur nei limiti del suo mandato prova a tenere salda la barra per risparmiare all'Italia la stessa fine della nave di Schettino. E dite se è poco.
 
DERIVA. Resistere. Resistere. Resistere. Nell'ottica della schiacciante vittoria dell'ungherese Orban che spaventa l'Europa, la vera posta in palio, a prescindere dalle laboriose consultazioni del Quirinale, consiste nel sapersi fermare prima del precipizio. Recuperare il valore e il significato dell'accorato appello di Francesco Saverio Borrelli è la chiave di volta per frenare la deriva verso i lidi poco accoglienti di Visegrad, magari avendo in sottofondo pure la marcia di Radetzky. Però non quella allegra del concerto di Capodanno, bensì la versione meno giocosa che traspare dalla tessitura del grande romanzo di Jospeh Roth in cui a prevalere sono con il loro carico di calamità i tragici conflitti etnici, i nazionalismi, il populismo, il razzismo, l'antisemitismo e il sovranismo, ossia i mali peggiori di questa e di altre epoche non molto lontane. Se tali tendenze, tra l'altro non estranee all'aspro linguaggio di una certa destra italiana, finissero col prevalere, a quel punto resistere come lungo una ideale linea del Piave diverrebbe un imperativo morale imprescindibile. 
 
ILLUSIONI. Si dice che la storia non si ripete. Sarà vero, ma forse più per una questione di forma che non di sostanza. Non sono quindi da sottovalutare le inquietudini di coloro che paventano il timore del ritorno e paragonano la situazione odierna a quella del 1922, quando le istituzioni democratiche erano drammaticamente fragili. Sorprendenti a tale proposito sono le risultanze di una inchiesta svolta di recente tra i giovanissimi e che presenta similitudini col passato davvero sconsolanti. Siamo in presenza di adolescenti che disarmati di fronte allo scontento interpretano il fascismo, spesso in modo inconsapevole, come una bella moda capace di creare uno stile di vita "specchio della politica di domani". Fu così anche la prima volta. E fu una sciagura nazionale. Merce avariata e ideologie bacate che un secolo dopo e con le stesse modalità i cattivi maestri di oggi rivendono attraverso l'uso spregiudicato dei social ai ragazzi che cercano una via per orientarsi in un confuso presente. E che ancora ignorano quanto dolorosa possa essere la fine brutale delle illusioni. 
 
LESSICO. Chiede Corrado Augias nella stimolante rubrica che tiene abitualmente su Repubblica "se la sinistra è morta o è solo svenuta". Verrebbe voglia di rispondere parafrasando un celebre aforisma di Woody Allen: ahinoi va tutto di traverso, persino al buon Dio, e anche la sinistra non sta molto bene. Certo, a vederla defunta sono in tanti ad augurarselo. Specialmente agli ultimi piani di quei palazzi in cui si concentra l'enorme potere dell'alta finanza e che giudica una scocciatura scendere di sotto per verificare come va il mondo delle persone normali al di fuori delle stanze ovattate. Per evitare funerali prematuri, comunque non serve a nulla continuare a litigare. Meglio sarebbe – osserva Augias – ripensare il lessico che può aiutare a portare idee nuove nella crisi di identità e di consenso. Anni fa su questo fronte si batteva un certo Ivo Livi, un italiano di Francia e uomo di sinistra, famoso in tutto il mondo come Yves Montand, convinto che anche quando le cose sembrano senza speranza, malgrado tutto bisogna essere decisi e cambiarle. Per conquistare cuori e menti. 
 
DIRITTI. Ci si scandalizza a giusta ragione per la bufera che investe Facebook e la violazione della sfera privata mediante l'uso manipolatorio di milioni di dati. Ma si dimentica che tali abusi, destinati nella maggior parte dei casi ad assecondare le voglie dei più forti per fini elettorali, non sono una prerogativa di questi tempi. Basti pensare allo strazio che ne fecero i nazisti per giustificare l'Olocausto pur non disponendo dei mezzi di oggi. Si può dunque affermare che sbagliato non è lo strumento in sé quanto l'uso perfido e odioso che se ne fa. Ne sa qualcosa Laura Boldrini, una persona per bene, presa di mira da una velenosa campagna carica di insulti irripetibili attraverso la proliferazione dei blog. Ora si attendono le iniziative dei garanti della privacy per tutelare gli utenti da pericolose incursioni nelle loro convinzioni, nelle loro abitudini e nei loro stile di vita. In una parola i loro diritti di liberi cittadini.  Un passo importante in questa direzione è dato dalla capacità di non farsi abbindolare dai cattivi profeti che le studiano tutte per vellicare gli istinti più riposti di chi non conosce altro che il livore.