di Renzo Balmelli
“E ORA?” Già la malaugurata ipotesi che un giorno Salvini, reso euforico dalle comunali, possa dettare i modi e i tempi della politica italiana dovrebbe mettere sul chi vive l'intero schieramento progressista. In assenza di un Macron, sul quale però i pareri non sono univoci, e senza una sinistra unita e federata, al leader leghista potrebbe riuscire, non per merito suo, ciò che invece alla Le Pen e agli altri schieramenti populisti è clamorosamente mancato alla prima, seria prova. Per fortuna, aggiungiamo noi. Certamente il voto delle amministrative non va esagerato. Eppure nel clima di incertezza che prevale un po’ovunque, il responso di nove milioni di elettori, sebbene solo a “livello locale”, lancia segnali politici sulla temperatura del Paese che non possono essere liquidati con una scrollata di spalle per non trovarsi un giorno a chiedersi "E ora?" di fronte a derive di pessimo gusto.
TEST. Bello, indovinato e molto pirandelliano il titolo di Repubblica che parla del Pd in cerca d’autore in vista dei ballottaggi. Anziché gongolare per il tracollo dei grillini, prevedibile poiché iscritto nel dna dei movimenti analoghi che prima illudono e poi quasi subito deludono, è piuttosto sulla prestazione non proprio esaltante del partito di Renzi che andrebbero puntati i riflettori. Mentre inizia una nuova campagna elettorale proiettata a livello nazionale, non si può nascondere che la destra giocata sull'asse Lega/FI ha fatto meglio ed è uscita rafforzata dalle urne, addirittura in grado di vincere. Magari sarà vero che le amministrative non sono state un test determinante per i partiti. Intanto però la tornata elettorale ha messo in scena tra gli aspetti più visibili un ritorno al bipartitismo che riapre la partita delle alleanze. Quanto basta per fare sudare freddo tanti democratici per niente inclini a tirare un sospiro di sollievo pensando a quanto potrebbe accadere.
VERGOGNA. Pur non sottovalutando la situazione di emergenza legata al flusso ininterrotto di donne, uomini e bambini che affidano la loro sorte a natanti fatiscenti in balia del mare, c’è di che arrossire dalla vergogna nel leggere i commenti di scherno per la mancata rielezione della sindaca di Lampedusa. Sui blog e altri vettori, l'esultanza rozza e sgangherata e il disprezzo di certi giudizi pari soltanto all’ignoranza siderale di chi li ha formulati, offendono l’immagine che nel mondo si ha e dell’isola simbolo dell’accoglienza dei migranti e di Giusi Nicolini che più di ogni altro ha aperto le porte della solidarietà umana. Sono individui spregevoli che certamente non rappresentano la maggioranza dell'Italia e dei tanti volontari che si prodigano per salvare i profughi. Compongono tuttavia uno spaccato seppur minimo della società che plagiata dai cattivi maestri diffonde odio e livore grazie al vile anonimato di stampo fascista.
SUONATA. In politica ed a maggior ragione in democrazia sarebbe cosa buona e giusta se chi venne per suonare e rimase suonato, riponesse lo strumento nella custodia e si dedicasse ad altre attività. E suonata Theresa May lo è stata sotto ogni punto di vista forse per avere peccato di presunzione. È vero che a poker si può battere un full servito con una doppia coppia, ma bisogna essere di una abilità mostruosa. La premier palesemente non ha indovinato né le carte né lo spartito e ora che il piatto piange si trova in mano un Parlamento in bilico senza maggioranza con cui gestire uno dei peggiori pasticci elettorali dell’era Brexit. Da “morta che cammina” a “Mayexit”, ormai l’attuale titolare di Downing Street è seduta su un seggiolino catapultabile che il suo partito non vede l'ora di azionare. I conservatori non amano lo sconfitte e in passato ne fece le spese persino un mostro sacro come Winston Churchill. Quando ci si mette, la storia sa essere una matrigna inflessibile.
“IL VECCHIO”. A sentire i suoi detrattori tanto di destra che di sinistra non conta più di un ferro vecchio da rottamare. Troppo socialista (sic). Troppo novecentesco, dicono. Che poi vai a capire che cosa significa esattamente. Tanto più che se Jeremy Corbyn alla soglia dei settant’anni è riuscito, come l’arzillo senatore del Vermont Bernard Sanders, ad affascinare i giovani e a consegnare ai laburisti un successo insperato che non si vedeva da anni, qualcosa vorrà pur dire. O no? Forse può semplicemente significare che alle nuove generazioni, confrontate con il problema del lavoro e le incognite del futuro scritto sulla sabbia, la rapacità delle élite economiche risulta insopportabile e smisuratamente ingiusta. Nel suo programma Corbyn ha usato rivendicazioni ragionevoli disegnando il modello di una società equa per tutti e non solo per pochi a difesa dello stato sociale. Ha messo insomma nel suo discorso una sorsata di socialismo “rosso antico”, corroborante come un bicchiere di buon vino ben conservato. Il socialismo d'antan: una idea che non muore.
TRAPPOLE. Ha voluto la bicicletta, ora pedali. Pochi personaggi di spicco della Quinta Repubblica che al pari di Macron sono riusciti a rivoltare la Francia come un guanto e a sollevare una ondata di speranze in così pochi mesi. A meno di un terremoto, il ballottaggio di domenica prossima dovrebbe consegnare al Presidente, dopo la trionfale cavalcata per la conquista dell’Eliseo, tutti gli strumenti per governare senza incontrare ostacoli. Solo Mitterrand all'apice del successo era riuscito nell'impresa, che richiede doti non comuni. Macron, attorniato da uno stuolo di scalpitanti debuttanti della politica, deve ancora dimostrare di possederne in ugual misura. Avere messo un argine all'estrema destra gli consegna un atout importante da usare con oculatezza e perspicacia per non cadere nelle molte trappole che si porranno lungo il suo cammino. L’elettore attende ora fatti concreti senza i quali l'idillio con i presunti “rottamatori innovatori” della vecchia politica e dei vecchi partiti può incrinarsi in fretta. Roma docet!