I pesi massimi repubblicani si affannano, con capriole da circo, a prendere le distanze da un candidato prima sostenuto senza vergogna e ora diventato di colpo ingombrante. Non è mai troppo tardi?
di Renzo Balmelli
AMBIGUITÀ. Dopo la bufera sulle parole sessiste di Trump, nel GOP – il Grand Old Party repubblicano – di grande sono rimaste due cose: il caos in un clima di guerra civile secondo l'analisi del New York Times, e il fuggi-fuggi disperato dei pesi massimi del partito che con capriole da circo si affannano a prendere le distanze da un candidato prima sostenuto senza vergogna e ora diventato di colpo ingombrante. Certo, cambiare idea è legittimo e dopotutto non è mai troppo tardi per fare ammenda. Stavolta però no. Stavolta è davvero tardi e nessun espediente dei voltagabbana riuscirà a rammendare i guasti provocati dall'irrazionale deriva estremista della destra americana. Tanto più che il ravvedimento appare poco plausibile e dettato, più che altro, non dalle preoccupazioni per il bene del Paese, ma per il proprio tornaconto e il timore di restare a secco di poltrone. In questa sceneggiata, ex ministri, senatori, governatori e deputati sfidano il giudizio della storia avvolgendosi in una cappa di ipocrisia che la grande scrittrice Carol Oates sul Corriere della Sera bolla quale "ambiguità etica".
APOCALISSE. A volte la politica, a dispetto delle sue magagne, riesce ad accendere improvvisi bagliori, magari di breve durata, ma capaci per un istante di riscattarla dallo squallore in cui l'ha confinata il populismo imperante. Così, mentre Obama sul finire del suo mandato si spinge oltre i confini del mondo e regala agli americani il sogno di realizzare un giorno la conquista pacifica di Marte, Hillary Clinton, di par suo, si colloca quale baluardo tra gli Stati Uniti e l'Apocalisse. Poiché questa sarebbe la prospettiva in caso di una vittoria del suo rivale. Ammesso che i sondaggi non prendano l'ennesima cantonata, sembra che la cavalcata di Donald sia destinata a fermarsi sulla soglia della Casa Bianca. In queste elezioni, tuttavia, potrebbe accadere qualsiasi cosa nelle ultime settimane, ragion per cui è bene sperare, ma anche prepararsi al peggio. Scongiurato il rischio di vedere il repubblicano eletto Presidente, rimane comunque l'interrogativo sul futuro del "trumpismo", con tutto quanto di negativo comporta. Certe ricette di facile suggestione sono dure da sradicare. Lo si vede anche in Europa dove il “lepenismo” edulcorato di Marine, il leghismo senza Bossi e il berlusconismo rielaborato hanno sì cambiato il doppiopetto, ma in sostanza sono uguali a prima, se non peggiori. Difatti, guarda caso, sono molti in quella galassia gli estimatori di Trump.
MOSSA. A tre mesi dal referendum, la Gran Bretagna del Brexit ha gettato la maschera riposizionandosi in modo sempre più marcato nel ruolo defilato rispetto al Continente che fu già suo. Guidato non tanto dalla ragione bensì dalle emozioni, il cambio di passo sembra una mossa obbligata per sviare l'attenzione dalle pesanti ricadute interne del referendum. Nuove stime sull'uscita indicano infatti che potrebbe costare fino a 73 miliardi l'anno, con gravi conseguenze per il Pil. Le tendenze neo isolazioniste si sono manifestate in modo clamoroso con il varo delle liste di proscrizione nei confronti dei lavoratori stranieri, liste che non contribuiscono certo a rendere meno conflittuale il divorzio dall'UE, ma che hanno già provocato un coro di reazioni indignate. Intuita l'impopolarità del provvedimento, il governo conservatore ha fatto marcia indietro attenuandone i passi più scabrosi e punitivi. Permane tuttavia il disagio per il contraccolpo subito dall'immagine di una delle nazioni più ospitali del mondo, ora non più immune dal nazionalismo.
FUGA. Addio, Italia bella. Non corrono più alla stazione con le valige di cartone, ma oggi come allora gli italiani se ne vanno, varcano la frontiera per raggiungere le mete favorite. In cima alle preferenze la Germania, la Svizzera, la Gran Bretagna (ma fino a quando con l'aria che tira?) dove sperano di costruirsi un futuro migliore. I numeri dicono che i nuovi emigranti sono sempre di più, sempre più giovani e freschi di studio. A muoverli in gran parte non è una libera scelta, ma una necessità per la mancanza in patria di lavoro e prospettive. Il boom di migrazioni rappresenta un segno di impoverimento poiché non di rado chi parte non torna reinvestendo altrove competenze e risorse di qualità di cui il Paese avrebbe invece bisogno. Sebbene le motivazioni siano diverse rispetto al passato, urge a questo punto un intervento della politica per invertire quella che appare come una vera e propria fuga di cervelli non priva di rischi.
NOSTALGIA. Che rimpatriata per chi era giovane idealista negli anni sessanta e in fondo al cuore lo è rimasto. C'era tutto il mito della Abbey Road, la strada di Londra immortalata dai Beatles, sul palco del festival di Indio dove Paul McCartney ha dato libero sfogo ai ricordi di un'epoca in cui la musica cambiò per sempre. All'appuntamento con le leggende del rock nella località californiana, appuntamento posto all'insegna della nostalgia, sono tornate a rivivere le speranze e le illusioni di una intera generazione che identificandosi nei brani dei "Fab Four" voleva cambiare il mondo oltre alla musica, per crearne uno migliore. Sentimenti che sono venuti a galla nel ricordo di chi non c'è più. Del gruppo di Liverpool sono rimasti Ringo Starr e Sir Paul che ha reso omaggio a John Lennon e alla sua Imagine, la canzone pacifista pensata per un mondo senza frontiere e senza muri che anche 45 anni dopo, a maggior ragione, nulla ha perso della sua straordinaria potenza evocativa.