di Renzo Balmelli
DIFFERENZE. Nell'album "E pensare che c'era il pensiero" Giorgio Gaber, scomparso nel 2003, si divertiva ad elencare che cos'era di destra e di sinistra. A suo parere le differenze tra le due parti erano minime. Non era vero allora, non lo è adesso, né idealmente, né storicamente. Le differenze c'erano e ci sono, solo che il clima è cambiato in peggio. Oggi la destra è pronta ad accettare qualsiasi disuguaglianza nella società pur di incrementare le sue fonti di reddito, tradendo così lo spirito liberale. Quanto alla sinistra sovente si fatica a capire in che direzione si stia muovendo. Si disunisce, ha solisti e un coro cacofonici, ma invece di rottamare senza giudizio avrebbe bisogno di mostrare un modello unitario e convincente in una fase che richiede alla politica la lucida capacità di reinventarsi.
PENSIONI. Dopo la cosmica panzana del milione di posti di lavoro mai creati durante l'infausta era berlusconiana, la gente ha imparato a diffidare dalle promesse roboanti. Non che prima fosse tanto diverso. Basti pensare al fumoso frasario di stampo democristiano. Anche la tivù ad personam elevata a quotidiano comizio ha offerto al Cavaliere una cassa di risonanza senza precedenti. Adesso però il trucco non funziona più. Ora è una questione di etica pura e semplice. L'etica di chi governa e non può giocare con le attese dell'elettorato. Su quei 500 euro da restituire ai pensionati, invitati a passare all'incasso il primo agosto, il premier Renzi investe una grossa fetta della sua credibilità dando un segnale, se non una soluzione definitiva, per rimuovere il contenzioso. La scelta è fragile, ma non concede sconti.
PROVOCATORE. Senza il traino del Cavaliere, padrino ormai logorato, e senza la spalla della Le Pen, consumata dalle faide familiari, Matteo Salvini, come diceva Clint Eastwood in un celebre film, sta giocando "a smerda tutto" per portare la Lega a Sud, nelle fauci del leone. Che non sia ovunque il benvenuto lo evidenziano le contestazioni, sfociate in episodi di violenza deprecabili senza mezzi termini. Qualcuno lo ha definito un " provocatore di talento", ma fosse anche solo un provocatore e basta, resta difficile immaginare che la Padania riesca a sfondare nella terra che ha sempre vituperato. Ad ogni buon conto Salvini dovrebbe guardarsi dai nostalgici che lo applaudono. Sono facili da individuare e una volta identificati costa poco prenderne le distanze. Finora non è successo.
ZIO TOM. E' brava a scuola, molto brava, tanto da essere una delle migliori della classe nell'istituto superiore che frequenta a Pisa. Agli occhi dei razzisti ha però il "torto" di essere un' immigrata senegalese e per dirla con il rozzo linguaggio delle lettere minatorie che le hanno infilato nel diario " non si è mai vista una negra che prende 10 in Diritto". E che vuole fare l'avvocato. Sul doloroso episodio è stata aperta un'inchiesta, ma resta lo sgomento al solo pensiero che cose simili possano ancora accadere al giorno d'oggi. Atti malsani, frutto bacato di una mentalità degenerata che trova il suo terreno di coltura nel letamaio delle peggiori ideologie. Sono trascorsi oltre 150 anni da quando uscì "La capanna delle zio Tom" e agli autori di certe bravate non farebbe male rileggere il romanzo della Beecher Stowe.
TRAGEDIA. Si è mobilitata molto tardi la comunità internazionale di fronte alla tragedia umanitaria rappresentata dal fenomeno dei migranti lasciati in balia del mare e nelle mani di cinici scafisti. Quando ormai era diventato impossibile fingere di non vedere o giocare allo scarica barile, finalmente gli appelli dell'Italia sono stati accolti dall'UE e dalle Nazioni Unite che hanno deciso di attivare i provvedimenti necessari a fermare l'indecente traffico di uomini. Basteranno? Oltre che nel Mediterraneo, altre masse di diseredati come i Rohingya mussulmani, mossi dalla forza della disperazione, vagano senza meta nell'Oceano indiano, esposti a rischi inauditi. Anche di loro, ultimi tra gli ultimi nella catena dei soprusi, bisognerà occuparsi per non abbandonarli alla sorte che li condanna all'emarginazione, all'oblio e a una morte quasi sicura. Sempre che non sia troppo tardi.
CONTRADDIZIONE. Immaginare l'Italia fuori dalla classifica che conta nel campo dei musei è quasi uno sproposito che trova purtroppo una dolorosa conferma in sede di bilancio dopo l'International museum day, la giornata mondiale dedicata a queste istituzioni. Dati alla mano risulta che nell'elenco delle sedi espositive più frequentate mancano quelle italiane che non figurano fra le prime venti del mondo. Una contraddizione mortale – scrive Repubblica – per un Paese votato al turismo, alla cultura e alla storia dell'arte. Per quanto indiscutibilmente ricco sia il patrimonio, l'impressione raccolta tra i visitatori e gli osservatori è che tali beni siano poco valorizzati, vuoi per la carenza dei servizi, vuoi per inadempienze di varia natura, politiche o altro. Ora gli addetti ai lavori si affidano alla seduzione di EXPO2015 per riportare l'Italia al posto che le compete in una graduatoria prestigiosa guidata dal Louvre.