di Renzo Balmelli
VERITA'. "Non è mai troppo tardi" era un vecchio slogan della RAI che i democratici, i progressisti e i liberal di tutto il mondo sperano valga anche per Obama, dopo la sua eccellente performance contro Romney nel secondo dibattito televisivo. Se nel primo faccia a faccia il Presidente avesse mostrato la stessa grinta, le elezioni sarebbero già finite. Sarà dunque lo spareggio del terzo e ultimo confronto, percepito come un momento di verità senza filtri, lo spartiacque decisivo per cogliere gli umori del Paese. Mentre il conto alla rovescia segna tre settimane all'election day del 6 novembre, la prospettiva , non così remota, di vedere il candidato repubblicano alla Casa Bianca non è certo fatta per tranquillizzare coloro i quali ai toni muscolari dello sfidante prediligono la linea conciliante e dialogante di Obama, con migliori effetti per la coesistenza pacifica. Nel corso di una campagna segnata dalle contraddizioni, Romney ha corteggiato l'estrema destra, i fanatici del Tea Party, si è collocato nel solco di Bush, sotto il cui segno è esplosa la peggior crisi dopo la Grande depressione, si è riconvertito di corsa al centro moderato e infine, per conquistare gli indecisi, ha addirittura gettato alle ortiche la veste di antiabortista intransigente, mostrandosi per quello che veramente è: un abile piazzista - secondo la definizione di Vittorio Zucconi - che come quel tale in Italia promette di creare miracolosamente 12 milioni di posti di lavoro, ma che in verità non ne farà nulla, e continuerà invece a strizzare l'occhio ai ricchi e al neo liberismo senza regole, agevolandoli con sostanziosi regali fiscali. Andare a vedere e smascherare il bluff di Romney nei giorni di fuoco che mancano al voto sarà l'impresa cruciale di Obama in una partita senza sconti che vista l'importanza della posta in palio non è esagerato definire epocale. Sempre che non sia "too late", troppo tardi, per ritrovare la magia dello "Yes we can". Facciamo gli scongiuri.
PREMIO. Mai più guerre tra noi, giurarono i padri fondatori. A sessant'anni da quel solenne impegno, il Nobel per la pace all'Unione Europea onora come meglio non si poteva l'ideale di riconciliazione, democrazia e diritti umani cresciuto sulle macerie del nazifascismo. Da allora l'Europa è un cantiere aperto che da sei decenni sta dando pace al continente, ai suoi 500 milioni di cittadini e anche agli euroscettici di comodo. Tutti coloro, cioè, che hanno giudicato il premio con ironia, ma ai quali nulla e nessuno ha impedito di costruire il loro benessere su quel progetto comune, capace di sventare i perenni rigurgiti nazionalisti.
ERRORI. Irène Némirovsky, nata a Kiev, rifugiata a Parigi e trucidata dai nazisti ad Auschwitz nel 1942, ci ha consegnato con Suite francese un possente ritratto delle tragedie e degli anni terribili della prima metà del XX secolo. Nel romanzo s'intrecciano i destini di donne, uomini e bambini errabondi, travolti dalla follia del Terzo Reich. Un affresco spietato di una Francia abulica, vinta, occupata, collaborazionista. La Fiera del libro di Francoforte dedica una sezione alla scrittrice e l'omaggio, in concomitanza con il Nobel all'UE, ricorda agli smemorati del terzo millennio quali sono gli errori e gli orrori da non ripetere.
BEFFA. Sarà forse vero che l'anno prossimo la congiuntura dovrebbe migliorare, ma coloro che a Natale sotto l'albero troveranno la lettera di licenziamento stentano a crederci. Con stupefacente disinvoltura e gelida noncuranza, i sacerdoti del profitto ad ogni costo spostano destini e uomini sulla scacchiera della finanza senza regole come fossero semplici pedine. Non passa giorno senza notizie di ristrutturazioni, fusioni e tagli massicci al personale che invariabilmente finiscono col colpire l'anello più debole, i salariati, penalizzati per colpe non loro, mentre i veri responsabili del disastro incassano emolumenti milionari. Oltre al danno, anche la beffa.
ACCANIMENTO. Il governatore della Lombardia è in acque agitate, ma con lui annaspano pure PdL e Lega che scaricandolo con un messaggio dal significato inequivocabile si defilano per stare a galla. Chiamano "accanimento terapeutico" l'ostinazione di Formigoni a volere salvare una giunta minata dagli scandali. Giusto. Ma al governo in Regione c'erano anche loro, zitti, zitti, fino a quando il regime berlusconiano ha garantito le poltrone alle quali, per similitudine, erano avvinti come la Venere di Racine alla sua preda ("C'est Venus toute entière à sa proie attachée"). Finché un giorno all'improvviso non dovranno chiedersi per chi suona la campana: suona per loro.
IGNORANZA. Siamo in pena per Malala YOUSAFZAI, l'adolescente pakistana che fa paura ai talebani al punto da diventare il bersaglio della loro atroce vendetta. A soli quattordici anni, attraverso il suo blog, questa piccola, grande donna dotata d'immenso coraggio lottava perché le ragazzine come lei potessero andare a scuola, anziché vegetare nel terrore di ideologie bacate. Adesso è in un ospedale inglese, dove può ricevere cure più specializzate, ma i suoi aguzzini l'aspettano al varco. Per riprendere le parole di Massimo Gramellini, ospite di Fazio, il cancro della società non sono, come credono quei fanatici, le donne istruite, ma gli uomini ignoranti.
LAZZARO. Nelle maglie della soffocante burocrazia cubana si aprono nuovi varchi. Con una riforma molto simbolica e molto attesa nell'isola, il regime autorizza la libertà di viaggiare all'estero senza pedantesche limitazioni burocratiche, fatte valse alcune misure per impedire la fuga di cervelli. Viene in mente quanto disse un giovane dell'Avana ad alcuni turisti che s'informavano sulle sue aspirazioni. "Vedete – osservò con un sorriso – mi chiamo Lazzaro e con un nome come il mio tutto è possibile. Sogno di andare all'estero, non per scappare, ma per abbracciare mia sorella in Germania". Il suo sogno non è morto all'alba. Ma fino a quando non verrà assicurato il rispetto dei diritti umani e i prigionieri politici resteranno in carcere, la svolta sarà ancora molto parziale.