di Renzo Balmelli
RUSPE. Sostiene Frau Merkel che se fallisce l'euro fallisce anche l'Europa. E' probabile. Resta però da capire di che cosa parliamo, se dell'Europa degli affari o quella della solidarietà. Ovvero due concetti antitetici. Qualcuno ha paragonato il difficoltoso salvataggio della Grecia a un derby che si disputa sul terreno scivoloso del referendum tra la moneta unica e la dracma. Una sorta di resa dei conti tra il rigore monetario per cui i debiti si pagano e le bizzarre improvvisazioni del governo ellenico. In prospettiva però la vera sfida è ben un'altra, è quella cruciale dal cui esito dipendono la stabilità e gli equilibri dell'unione sempre più stretta fra i popoli sognata dai padri fondatori. In quest'ottica non è pensabile la sciagurata ipotesi della Grecia, culla della democrazia, alla deriva nello scenario instabile del Mediterraneo ed esiliata ai margini della storia. No, Atene e l'UE, che ci ha preservato da guai maggiori, non meritano di crollare sotto le ruspe salviniane e il ghigno beffardo degli euroscettici. Sarebbe come se Platone finisse in serie B.
ORRORE. Dire , dopo i tragici episodi di Sousse e Lione, che ci troviamo nell'anticamera della terza guerra mondiale, è forse prematuro. Per quanto incuta paura e dia l'impressione di essere inafferrabile, sul piano militare il terrorismo jihadista non può vincere la sua battaglia con le armi di cui dispone. Nella sua reale dimensione è ancora un fenomeno locale, fratricida e scomposto. Qualsiasi esercito serio può sconfiggere l'Isis senza soverchie difficoltà. Ma la soluzione non è stanarlo con la forza. Serve all'opposto una reazione lucida, considerando che il Califfato è un'inquietante, sfuggente creatura proteiforme che si avvale di imponenti e subdoli strumenti mediatici per mobilitare le sue truppe. Certo, indignarsi per l'orrore delle teste mozzate è giusto, ma non basta. Se davvero fosse una guerra, è con l'energia e la vitalità delle idee che va combattuta da ogni lato, tuttavia con maggiore tenacia di quanto fatto fino adesso.
PRECARIETÀ. Fin dalle sue origini, il Banco dei pegni, che un tempo si chiamava Monte di Pietà, è sempre stato un crocevia di esistenze e destini segnati dalla precarietà. Letteratura e cinematografia vi hanno attinto a piene mani per illustrare la difficoltà della condizione umana. "L'uomo del banco dei pegni", di Sidney Lumet, è stato il primo film che ha affrontato il tema dell'olocausto come memoria lacerante, occupandosi più dei sopravvissuti che delle vittime. Ora è in libreria "Una giornata al banco dei pegni", ed. Einaudi, di Elena Loewenthal, un dolente affresco che attraverso le dure prove della quotidianità descrive lo stato d'animo di chi ha "visto, sentito, sofferto, sperato lungo il percorso di piccoli addii e grandi pezzetti di vita". Nel mezzo della crisi non è fuori luogo immaginare che il libro abbia inequivocabili risvolti di attualità.
ALI. A parte gli uccelli e gli aerei, il verbo volare non si addice propriamente all'essere umano quale funzione autonoma. Ci sono, questo si, i voli pindarici , quelli della fantasia e con sempre maggior intensità lo sfarfallio dei sondaggi che a seconda dei casi si trasformano in un incredibile campionario di iperboliche velleità. Sui giornali di famiglia Berlusconi mette le ali nelle preferenze, ma lo spostamento è di pochi decimali, quanto basta per un passettino, ma non per alzarsi da terra nemmeno di un centimetro e allontanare l'ombra delle "olgettine". Già Pirandello, senza scomodare Shakespeare, aveva messo a fuoco la dicotomia del " troppo rumore per nulla", tra ciò che è e ciò si vorrebbe essere nella ricerca di affermazioni che il più delle volte sono chimere elettorali. Volare sempre più su è eccitante, ma solo se è Modugno a farci sognare.
BASTA. Rieccoci all'ennesima fanfaluca dei diari di Mussolini di cui non si sentiva la mancanza e nemmeno la necessità. Come se non fossero già circolate infinite variazioni sul tema, rivelatesi dopo approfonditi esami dei falsi clamorosi, da sotto la polvere dei tempo salta fuori un nuovo documento inedito sorretto da presunte perizie che ne comproverebbero l'autenticità. La qualcosa appare quanto mai discutibile trattandosi non dell'originale, bensì di una copia del diario che risalirebbe al 1942 e nel quale il Duce appare sempre più insofferente nei confronti dei tedeschi. Magari ci avesse pensato prima. Forse non ci sono intenti speculativi, ma è curiosa l'insistenza di presentare sotto un'altra luce colui che Fini definì "il più grande statista del secolo" e che i nostalgici si ostinano a considerare tale. Perciò basta con le speculazioni editoriali che non possono cambiare ne riscrivere il passato.
FELICITÀ. Questa i ricercatori delle università del Texas e dello Iowa non ce la dovevano fare. Negare l'autenticità e la spontaneità del bacio più celebre della storia contemporanea in una Times Square festante per la fine della guerra, è un duro colpo all'immaginario collettivo di intere generazioni. E' come se venissero a dire che il capolavoro di Hayez sullo stesso tema è una crosta senza valore. Ma quando mai. A 70 anni da quell'evento nella famosa piazza di New York ciò che veramente conta è la forza dell'abbraccio tra l'infermiera e il marinaio, non la loro identità. Centrale in quanto espressione di pura felicità è il significato intrinseco di quell'icona tramandata ai posteri per illustrare la fine di un incubo. E che tale deve restare quale monito contro tutte le guerre di ieri e di oggi. Con tutto il rispetto per gli studiosi, si potrebbe dire, parafrasando Pascal, che il cuore conosce ragioni che la ragione della scienza non conosce.