martedì 1 aprile 2014

Marine dell’orgoglio blu

di Renzo Balmelli

ORGOGLIO. La bionda Marine, irrompe come una furia e la destra, non solo quella estrema, gongola. In Italia fa addirittura le capriole. Vuoi mettere la soddisfazione di farla pagare alla sinistra, anche a costo di finire stritolati in un abbraccio mortale. Mai in passato un voto municipale ha espresso una tale, inquietante dinamica, estesa all'intera Nazione. Il successo del Fronte Nazionale ha avuto dimensioni maggiori delle più nere previsioni. E dicendo nero, il colore non è scelto a caso. Come in altri momenti, la Francia, rivelatasi la grande malata dell'Unione, fa paura all'Europa e ora il mondo guarda a Parigi con un misto di speranze e timori. Serve uno scatto d'orgoglio, una nuova Bastiglia per frenare la deriva. La figlia di Le Pen ha provato a smacchiare il partito dall'armamentario xenofobo e razzista, ma si capisce al volo che è solo cosmesi e che il successo frontista porta con sé tutte le conseguenze che la storia ci ha insegnato.

PENNE. Nella solitudine di Hollande, in vistoso calo di popolarità, si cristallizza la difficoltà dei socialisti di porre un argine all'esercito dei populisti euroscettici che sospinti dal Fronte Nazionale si preparano a invadere il Parlamento di Strasburgo fra due mesi. Con un titolo azzeccato, in sintonia con i suoi novant'anni al servizio della satira d'autore, l'Unità ha scritto che "l'Europa ci ha lasciato Le Pen", cogliendo in pieno il nocciolo di una crisi che scuote la sinistra, forse troppo poco reattiva nell'intercettare il disagio dei popoli di fronte alla crisi. E ben altre penne potrebbe lasciarci l'Unione se non si innescasse immediatamente il contro sterzo per evitare di finire sull'orlo del baratro. Arrivati al punto, osserva Romano Prodi con il suo solito buon senso, "tutti sanno che il nostro futuro senza l'Europa non esiste" e che per mantenere diritta la barra occorre che la voce della saggezza riesca a prevalere sulla strategia dei falsi profeti, molto abili nel vellicare gli istinti più riposti. Non sarà facile anche perché il tempo stringe.

SPEZZATINO. Ci sono situazioni in cui il Vecchio Continente sembra avere un passato davanti a se. A determinare questa impressione è il risvegliarsi di mai sopite pulsioni indipendentiste che possono fare sorridere, come la proposta di annettere la Sardegna alla Svizzera, ma che in Crimea fanno venire i sudori freddi. Nel corso dei secoli i mutamenti dei confini ha portato a tragedie, guerre ed emigrazioni forzate. Senza risolvere alcun problema. A Mosca, dove forse hanno la coscienza sporca, i media controllati da Putin, ossia più o meno tutti, hanno dedicato spazi e minuti fuori dal comune al referendum per il Veneto libero, quasi a volere giustificare in qualche modo il ritorno allo spezzatino geografico, secondo le vecchie logiche ottocentesche. Ovviamente le motivazioni autonomiste (Scozia, Catalogna) sono diverse, ma sovente possono rappresentare un balzo a ritroso nel tempo che minaccia di cancellare anni e anni di sforzi per costruire l'Europa moderna.

BOTTONI. Con una battuta folgorante delle sue, Luciana Littizzetto ha fatto notare che è più difficile tenere il conto dei primi ministri italiani che non quello dei fidanzati attribuiti a una nota e bella show-girl. Come darle torto? In occasione delle visite ufficiali, all'estero non fanno nemmeno in tempo a segnarsi il nome sull'agenda che la volta dopo se ne presenta un altro. La sfilata dei capi di governo romani sotto la porta di Brandeburgo ne ha visti transitare cinque nei quasi dieci anni di "regno" di Angela Merkel. Compreso il cucù alla Cancelliera del ben noto autore. Un bella differenza. Ai tempi della vecchia Dc quando i governi cambiavano dal giorno alla notte si parlava di "stabilità nell'instabilità". Adesso non più. Dopo il repentino pensionamento di Letta, il concetto pare difficilmente applicabile a Renzi, impegnato a Berlino in una sua personalissima "guerra dei bottoni" dal bottino scarsamente quantificabile rispetto a quello del film e del famoso romanzo di Louis Pergaud.

PALLONCINI. Molti anni fa , con una canzoncina apparentemente innocua, ma dal significato esplicito, Renato Rascel si chiedeva "dove andavano a finire i palloncini che sfuggivano di mano ai bambini". La risposta è arrivata in questi giorni con l'inchiesta sullo sperpero di denaro pubblico nelle Regioni, dal Piemonte alla Sicilia. Solo che a sfuggire di mano non sono stati i divertenti giocattoli amati dai bimbi, bensì milioni di euro (oltre cento), inghiottiti da un giro d'affari senza fondo ai danni dell'erario. L'elenco delle follie è lo specchio di un Paese allo sbando. Tra ostriche, reggiseni, aragoste, pranzi di nozze, rimborsi chilometrici, tosaerba, tartufi, foulard di seta e orologi d'oro sono stati commessi abusi a cavallo tra il comico e il grottesco a spese contribuente che rivelano tutta l'insolenza del potere. Come quel tal consigliere che per giustificare le sue mirabolanti trasferte spiegò che andava a tre sagre al giorno, dove com'è consuetudine di palloncini se ne gonfiano tanti.

DECLINO. Quando ha visto il titolo in bella evidenza sulla versione on line del suo giornale di famiglia preferito, pare che Berlusconi si sia arrabbiato di brutto. Ma come, proprio la sua creatura, il quotidiano conteso a Montanelli, la Bibbia del pensiero unico, osava fargli lo sgambetto in modo tanto plateale quanto irriguardoso. Che cosa era successo di tanto grave? Era successo che il "Giornale" forse per eccesso di zelo elettorale si era permesso di scrivere senza tanti preamboli che Forza Italia avrebbe vinto, anzi, stravinto alle europee anche senza il nome e il brand di Silvio. Come dire che Berlusconi non vale niente o quasi. Certo che per un politico ormai ridotto al ruolo di ex (ex premier, ex leader, ex candidato e ora persino ex Cavaliere) dev'essere stato un brutto colpo venire a sapere dai suoi che l'era berlusconiana è ormai avviata a un malinconico declino.

BAVAGLIO. Fin dall'antichità dittatori e regimi autoritari hanno posto in cima alle loro priorità la lotta al dissenso da perseguire con qualsiasi mezzo, dalla prevaricazione fino all'uccisione di coloro che non si piegano ai diktat dei potenti. Le limitazioni alla libertà di stampa e la censura a danno dei cittadini non conoscono frontiere e anche ai giorni nostri, nonostante la comunicazione alla pari tipica di blog e social network, ha raggiunto in tutto il mondo proporzioni enormi. Il blocco di twitter da parte del premier turco Erdogan è stato solo l' ultimo in ordine di tempo dei numerosi tentativi per imbavagliare il dissenso online. Ormai la sfida ha assunto le caratteristiche di una guerra informatica senza esclusione di colpi. Però a differenza di quanto avveniva col Grande Fratello di orwelliana memoria, oggi gli utenti non si rassegnano e sanno come aggirare la repressione e dare scacco matto ai silenziatori delle proteste con una mobilitazione culturale e tecnologica universale che da filo di torcere ai despota di ogni risma. Ed è giusto così.