Alla vigilia delle regionali arriva puntuale e beffardo un attacco concentrico al servizio pubblico, alla par condicio e ai programmi di approfondimento ( e i partiti minori vengono esclusi dalla tv nella prima fase della campagna elettorale ).
di Renzo Balmelli
BEFFA
Siamo alla vigilia delle regionali, ma l’ipotesi di un ribaltone che ridimensioni lo strapotere della destra appare altamente improbabile. Con un’opposizione esangue semplicemente mancano le risorse per risparmiare al paese la mortificazione delle “ghedinate” e delle “alfanate” che condizionano pesantemente la vita degli italiani. Ma soprattutto manca lo spirito giusto- e qui la cosa si fa doppiamente preoccupante - per impedire il rozzo assalto alla libertà di informazione che si è concretizzato nell’attacco concentrico della maggioranza al servizio pubblico della RAI, alla par condicio ed ai programmi di approfondimento che Berlusconi, col disprezzo tipico dei regimi, ha sbrigativamente liquidato come trasmissioni-pollaio. Attraverso la sopressione di “ Anno Zero”, “ Ballaro’” e “ Porta a Porta” nel mese che precede la consultazione, si serve ai telespettatori una polpetta avvelenata che piace ovviamente alla destra, ma che avvalendosi del silenziatore di fatto mette il bavaglio all’esercizio del libero giornalismo e rivela una visione punitiva dell’informazione. A tutti gli effetti, la decisione della commissione parlamentare di vigilanza RAI, avvalorata e benedetta dal governo che vi esercita un'ampia facoltà di controllo, col pretesto di ampliare l’area di opinini, diventa cosi' una colossale ipocrisia di stampo orwelliano che calpesta il diritto di scelta degli utenti di rivolgersi alle fonti che meglio gradiscono. Si vanifica cosi', a favore dell'editore politico che conosce soltanto il suo linguaggio, una conquista fondamentale che costituisce il pilastro attorno al quale fa perno la regola aurea del pluralismo. Nel contrasto dei partiti e non nella tentazione di zittire si celebra la festa autentica della democrazia. Il plauso della maggioranza trasforma invece il delirio formalistico dei programmi in una cerimonia funebre che vede riaffacciarsi il fantasma del conflitto di interessi. A meno che al posto dei fatti e dei commenti di interesse nazionale non si voglia privilegiare quale modello di par condicio l’inaugurazione dell’ennesima magione principesca, l’ultima di un parco-ville sterminato di proprietà del premier il cui significato politico-mediatico è sempre piu’ o meno lo stesso: l’ostentazione di uno sfarzo e dunque di un potere che per la stragrande maggioranza della popolazione alle prese con la crisi ha il sapore di una beffa. A tale proposito abbiamo ricevuto e volentieri qui sotto pubblichiamo le cosiderazioni di un cittadino che riassumono in maniera esemplare e un tocco di rassegnata ironia i sentimenti di amarezza e frustrazione della gente.
TEA PARTY
Anche in America, piu’ o meno come in Europa, appena comincia a soffiare il vento delle riforme in senso liberal, la destra corre a togliere dall’armadio le bandiere del vecchio e stantio populismo. Qualsiasi tentativo di attuare una linea bipartisan viene vanificato dalla radicalizzazione della politica come ha dimostrato la Convention del Tea Party a Nashville. In questa specie di Lega a stelle e strisce che fa capo a Sarah Paulin, ex candidata repubblicana alla presidenza, il “meglio” del qualunquismo reazionario trova il terreno adatto per coltivare i sentimenti piu’ riposti. E il tè , che evoca pasticcini, salotti eleganti e vecchi merletti, non c’entra per nulla. Il nome, pur rifacendosi al “Boston Tea Party” del 1773 che pose le basi della rivoluzione americana, è l’acronimo di “Taxed, Enough, Already”- basta tasse - lo slogan cui si ispira la rivolta antistatalista, antiimmigrati, anti abortista e contro la riforma sanitaria preconizzata dall’agenda progressista dei democratici. Di rivoluzionario ovviamente non v’è neppure l’ombra , ma il Tea party , che per ora non è ancora strutturato come un partito, viene monitorato attentamente dai democratici e dai repubblicani moderati non potendo prevedere in quale direzione evolverà e quanti consensi trasversali riuscirà a convogliare.
ANNUS HORRIBILIS
Corsi e ricorsi. Per la casa comune europea, il secondo decennio del secolo non inizia sotto i migliori auspici. Alcuni osservatori di casa nei corridoi di Palazzo Charlemagne, centro nevralgico del potere europeo, indicano addirittura il 2010 quale possibile annus horribilis dell’UE. A dare corda ai profeti di sventura ha contribuito anche il voltafaccia di Obama. Il presidente americano piu’ amato dall’Europa, mostra scarsa propensione ad attraversare l’Atlantico. Al vertice UE in programma per maggio a Madrid la poltrona riservata al presidente americano, a meno di un ripensamento dell'ultima ora, rischia di restare desolatamente vuota. Secondo la Casa Bianca l’Europa senza una voce sola e in debito di autorevolezza non è un interlocutore affidabile per concertare le soluzioni che servono al mondo. Dietro questa scelta si cela pero’ un netto cambio di strategia planetaria. Il nuovo ordine mondiale appare sempre più saldamente in mano al G2, Cina e Stati Uniti, mentre l’assemblea dei 27 sembra avviata a un bivio: l’integrazione secondo i criteri sanciti dal Trattato di Lisbona o l’irrilevanza delle sue ambizioni sia sul piano economico che da un punto di vista politico. Nonostante tutto, pero’, giova ricordare che in passato l’Europa unita ha saputo mostrarsi piu’ forte delle avversità. Aveva pero’ padri fondatori e alfieri di altro calibro e non come adesso una tavolata con troppi convitati di basso profilo, ma sempre dotati di un vorace “ appetito per i vertici”.