lunedì 10 novembre 2008

Il trionfo di Obama e il tonfo del Cav

di Renzo Balmelli
IL TRIONFO - Barak Obama era venuto per vincere, ma ha fatto qualcosa di piu’ significativo, ha risvegliato il "dream", il sogno americano. Nel nuovo mondo un giovane presidente ha mostrato" che nulla è impossibile se si è disposti a crederci fino in fondo. "America can change. Yes, I can". L’America cambierà. Si puo’ fare! Con questo suo slogan, tanto semplice quanto efficace, Obama ha indovinato la ricetta giusta per rianimare un paese che ormai era in letargo, svuotato degli ideali che sono stati una potente calamita per milioni di individui in cerca di riscatto e libertà. Di solito i sogni devono fare i conti con la realtà che specie nel clima della globalizzazione sfrenata è oltremodo dura, spietata.

Ma l’alfiere democratico ha colto nel segno, ha parlato col cuore lasciando intravvedere un’alba nuova che vuol dire piu’ dignità, piu' rispetto, piu' attenzione per coloro che vivono nel cono d’ombra del benessere. Certo, siamo ancora allo stadio nell’immaginazione, non del fare. La presidenza Obama sta suscitando attese immense che richiederanno sforzi ciclopici per rimediare ai guasti della precedente amministrazione. Caso mai potrà consultare Prodi che si è trovato nella stessa situazione, ma circondato da "amici" meno affidabili. Che il clima pero’ sia mutato si intuisce proprio da come reagiscono i suoi avversari, dentro e fuori gli Stati Uniti.

I guardiani dell’establishment, i baroni di Wall Sreet, timorosi di perdere potere e privilegi, spaventati dal vento nuovo che soffia nei luoghi dove hanno spadroneggiato, provano a esorcizzare il futuro. Nei loro giornali circolano titoli penosi, intrisi di livore, titoli tipo "Obama, strano, ma nero", apparso a caratteri cubitali su un quotidiano di Milano Non c’è nulla da fare, la destra alza barricate quando finisce nell’angolo, quando si scopre impotente al cospetto di coloro che accendono il motore del cambiamento e non hanno nessuna intenzione di avanzare col freno tirato. Nel recente passato, seppure in un altro contesto, qualcosa di drammaticamente analogo accadde ai fratelli Kennedy, John e Bob, ed a Martin Luther King, cha pagarono con la vita la loro audacia nel rompere gli schemi. Un secolo e mezzo dopo l’introduzione dell’emendamento che aboli’ la schiavitu’, il primo candidato afro-americano conquista la Casa Bianca in modo trionfale, vincendo dall'Est all'Ovest, con un'onda d'urto che ridisegna la mappa elettorale degli Usa.

Non c'è dubbio che si è trattatto di un trionfo culturale oltre che politico. Ora Barack Obama si accinge a compiere uno dei più grandi viaggi della sua vita. Con la straordinaria vittoria nella corsa alla Casa Bianca, lo sfidante democratico di Mc Cain, che è comunque uscito dalla contesa da uomo valoroso, si è addossato uno dei compiti piu’ esaltanti, ma anche piu’ difficili per un leader. Difficile, arduo e lungo una strada costellata non soltanto di fiori. Tempo a disposizione per disegnare i contorni della svolta l'eletto non ne ha molto. Senza indugi, per tenere viva la luna di miele con gli americani, dovrà rimboccarsi le maniche per rivestire di atti concreti le speranze di milioni di cittadini che esausti dopo i disastri targati Bush hanno deciso di voltare pagina.

Nel terzo millennio la storia non si ferma ad aspettare. E gli elettori neppure. Vogliono fatti e li vogliono subito. Roba da far tremare le vene ai polsi anche ai valorosi nocchieri di Conrad. Nella insurrezione nazionale e pacifica contro il peggior governo americano del dopoguerra, il senatore dell’Illinois trova in eredità quanto di peggio si possa immaginare per dare inizio a una nuova era: due guerre, Afganistan e Iraq, e la piu’ terribile crisi finanziaria che l'America e il mondo hanno conosciuto dopo l’incendio del l929. La ripartenza non sarà uno scherzo. "Non sappiamo, e nessuno lo puo’ dire" - ha scritto Vittorio Zucconi su Repubblica - "se Obama sarà un buon presidente, se riacciufferà l'economia americana dall'abisso nel quale sta precipitando, se ritesserà la maglia di amicizia, di stima internazionale, di condivisione con il resto del pianeta che il suo predecessore ha lacerato nonostante la piaggeria degli inutili cortigiani alla Berlusconi".

Non sappiamo se il candidato paragonato a Kennedy e giunto al traguardo nei panni dell' uomo capace di evitare il tracollo con un altro "new deal", saprà vincere la sua battaglia. Ma una cosa sappiamo: ce la metterà tutta. La sua elezione è la rivincita dell'intelligenza che finalmente riporta nello Studio Ovale il gusto per le buone letture. L'elettorato americano ha mandato in soffitta un ciclo presidenziale segnato dalla mediocrità spacciata per grande visione morale, un ciclo deprimente, oppressivo, triste, che sembrava non dovesse finire mai. Grazie a questa epocale inversione di rotta sta forse per realizzarsi il sogno universale ( I have a dream) della società multirazziale avanzata. Con essa crescono le speranze che i popoli della terra riescano a dialogare, a incontrarsi ed a unirsi in uno spirito di pace, coltivando la prospettiva di costruire un mondo nuovo. L’ America, riscoprendo la sua parte migliore, ha ritrovato la forza per tornare a credere nella democrazia che pareva ostaggio dell’antipolitca. E’ ora di cambiare. Si puo’ fare! Per questo la destra è inquieta.

SQUALLORE - Il clima delle capitali est europee risulta indigesto a Berlusconi che quando si muove da quelle parti, come già fece a Sofia e Bucarest, ne combina di tutti i colori. Per il nuovo exploit ha scelto Mosca dove é tornato a parlare di Barak Obama che a suo dire é bello, intelligente e anche “abbronzato”. La pesante allusione al colore della pelle del neo eletto presidente evidenzia un dato già noto: nella destra che malauguratamente é toccata in sorte all’Italia, al peggio non c’è fine. L’elezione del senatore afro-americano è stata il pretesto per sciorinare battute da osteria, una piu’ squallida dell’altra. Ha cominciato Maurizio Gasparri (con lui alla Casa Bianca "forse Al Qaeda è più contenta"), ma il fondo, come abbiamo visto, è stato toccato nientemeno che dal premier, incapace di tenere a freno la lingua. La clamorosa gaffe è l'ennesima del Cavaliere, che però stavolta non esercita il suo humour sui suoi abituali cavalli di battaglia (donne, sesso o gli odiati "comunisti"). Stavolta sconfina nella questione razziale che mai negli States, durante la campagna elettorale, é stata oggetto di scontri o battute pubbliche.

L’incredibile" performance" berlusconiana, che infrange i piu’ elementari canoni del fair play diplomatico, rischia di oscurare perfino il tristemente celebre "Kapò" rivolto a Strasburgo all'eurodeputato tedesco Schulz. L’unico a non accorgersi dell’effetto dirompente scatenato dalle sue parole, parole che screditano l’Italia sul piano internazionale, è Berlusconi stesso che si ostina a considerare un “grande complimento” la greve insinuazione rivolta a Obama. E addirittura insiste. “Se non hanno il sense of humour allora vuol dire che gli imbecilli sono scesi in campo”. Senti chi parla! E poi, ancora, per completare il disastro, la originale spiegazione del ministro Rotondi, secondo il quale le frasi del Cavaliere "si spiegano con una teoria psicologica per cui fondamento del razzismo è l'invidia dei bianchi per un colore più gradevole". Non c’é dubbio: in questa destra al peggio non c’è fine, non ci sarà mai fine!

CATTIVI MAESTRI - Possibile che la terribile lezione del Terzo Reich non sia servita? Possibile che un giornale serio e autorevole qual’è la Frankfurter Allgemeine possa esprimere ancora oggi giudizi tanto pesanti, offensivi addirittura, nel rivolgersi a Giorgio Napolitano che tiene alti i valori dell’antifascismo e della Resistenza. Sì, è possibile. Purtroppo. Al Capo dello Stato è stato mosso il rimprovero di proseguire la guerra con altri mezzi per non avere fatto sconti al nazifascismo durante la commemorazione dei caduti ad El Alamein. Hanno scritto di lui che è come "uno di quei soldati giapponesi abbandonati nel Pacifico che continuavano a combattere". Nell’ombra i revisionisti italo-tedeschi gongolano. Per l’autore dell’articolo, il giornalista Heinz-Joachim Fischer, è tempo che l’Italia dimentichi i suoi fantasmi. "Del resto - ha aggiunto - vedo che anche alcuni italiani dubitano sull’opportunità di indulgere su quella memoria. Penso al ministro della difesa Ignazio La Russa, tanto per fare un esempio". Quando si dice, i cattivi maestri!