lunedì 18 gennaio 2010

Un grido di dolore

di Renzo Balmelli 

HAITI.
Come nella voce spezzata dei primi soccorritori, è difficile trovare le parole che aiutino a superare l’orrore per l’apocalisse di dimensioni bibliche che si è abbattuto su Haiti. L’accanimento della natura supera ogni immaginazione e l'enormità del terremoto ci rimanda l’immagine di una nazione distrutta e di una città, Port au Prince, con due milioni di abitanti, che di fatto non esiste piu’. La capitale è solo una distesa di rovine difficile da raggiungere. Nell’annunciare l’invio degli aiuti, il presidente Obama ha parlato di una tragedia incomprensibile e feroce. I cultori del vodoo, pratica mistica che affonda le sue radici in questo lembo di terra nel mar dei Caraibi, avranno ora una ragione in piu' per convincersi che una sorte maligna tiene in pugno la popolazione. Certo, la fatalità ha il suo peso. Ma è soprattutto l'incuria, la colpevole, delittuosa incuria del potere, a moltiplicare all'ennesima potenza la forza devastante e incontrollabile degli elementi. I rituali semipagani hanno poco o niente a che vedere
con quanto è accaduto. In realtà nulla è imcomprensibile in un paese che ha subito tutti i drammi del colonialismo e della prevaricazione. Haiti ha pagato e paga tutti i peccati del mondo, il mondo bianco, ma anche le follie di chi se ne assunto il governo con tale insolenza da portarla alla rovina. Non c'è nemmeno l'ombra dei rutilanti e goderecci paradisi caraibici, forzieri prediletti degli evasori milionari, nel paese piu’ povero del continente americano, agli ultimi posti al mondo per il reddito annuo pro capite che è appena di 1300 dollari. Qui si respira soltanto miseria, miseria nera. Nonostante le cospicue esportazioni di zucchero, caffè, banane e mango, l’antica Hispaniola , dove Cristoforo Colombo attracco’ al termine del suo primo viaggio, nel 1492, la popolazione vive ancora oggi in condizioni di arretratezza spaventose. La furia omicida del sisma ha messo a nudo la fragilità di un paese che è sempre è stato in balia di crudeli dittatori, predoni della libertà, dei commerci e del progresso. Con conseguenze terribili. La mancanza di strutture adeguate ha contribuito a ingigantire ulteriormente l’impeto del terremoto e a dilatare in modo spaventoso il bilancio dei morti e dei danni. Pur trovandosi in una regione a forte attività sismica il paese è privo persino delle piu' rudimentali reti di protezione per l'incolumità della popolazione. Quella di Haiti è una lunga storia di ordinari soprusi che durano fin da quando, oltre 200 anni fa, questo fu il primo stato dell’America latina a rendersi indipendente dalla Francia, diventando la prima Repubblica fondata da schiavi. Fu pero’ un’illusione di breve durata. Con la perfida ambiguità di cui erano capaci, le grandi potenze mai hanno permesso ad Haiti di essere realmente indipendente, aprendo cosi’ una ferita che non si é mai rimarginata. Dal regime sanguinario dei Duvalier, che a quanto di dice fece eliminare oltre trentamila oppositori, ai successori del despota, non meno efferati, questa è stata una terra di conquiste e di soprusi in cui la barbarie ha cancellato i piu’ elementari diritti umani. In tempi piu’ recenti, il colpo di stato col quale nel 2004 venne abbattuto Jean Bertrand Aristide, democraticamente eletto ma giudicato inaffidabile dagli Stati Uniti di Bush, ebbe effetti sconvolgenti che avviarono una serie interminabile di violenze e massacri. L’accanimento delle maggiori potenze mondiali contro un Paese piccolo e povero non ha ne spiegazioni ne giustificazioni se non quelle dettate dai piu’ riposti egoismi di bottega. Ora, al cospetto del grido di dolore che si alza dalle macerie, si abbia almeno la decenza di ammettere che oltre alla natura anche altre ragioni inconfessabili hanno contribuito a gettare il paese nel lutto e nel dolore, lasciandolo in una condizione di estrema povertà che lo rende indifeso e vulnerabile.

VERGOGNA.
Altro che partito dell’amore. Cio’ che arriva da Rosarno è la fotografia agghiacciante di un’ Italia che vorremmo cancellare dalla vista. La dolente cronistoria di un dramma umanitario in cui si rispecchia l’inesorabile consunzione della legalità, della fratellanza, della solidarietà. Pensavamo che con il famigerato White Christmas fosse stato toccato il fondo dell’iniquità, invece ci sbagliavamo. Abbiamo rivisto esplosioni di odio razziale imbastito sul colore della pelle che ci riportano ai tempi bui dell'America piu' ferocemente segregazionista. La rivolta dei disperati si è consumata in un grumo di violenza, soprusi e xenofobia che lascia atterriti. Bisognerà aggiornare l’accorato appello di Max Frisch che esortava i suoi connazionali a non farsi traviare dai cattivi maestri. Non piu’ “ Volevamo braccia, sono arrivati uomini”, bensi’ “ Volevamo braccia, sono arrivati schiavi”. Schiavi del terzo millennio. Ecco chi sono quei ragazzi che raccolgono arance al freddo, vivono in tuguri che sembrano porcilai,vagano come animali da una terra all’altra, sono chiamati da tutti “negri” , lasciati senza nulla. Ad aggiungere vergogna alla vergogna provvede la latitanza del governo, troppo a lungo assente da un territorio in cui la criminalità , temuta, riverita, corteggiata, detta indisturbata le regole sociali. La classe politica avebbe dovuto gestire il complesso processo dei flussi migratori, conseguenza delle tensioni e della povertà in sempre piu’ ampie sacche del mondo, applicando le ragioni del cuore e non la vulgata repressiva. Invece ha puntato le sue fortune sulla paura e ne ha ricavato facili consensi. Le conseguenze sono spaventose. Si indaghi adesso sulla trave dei torbidi intrallazzi mafiosi e non sulla pagliuzza dell’immigrazione clandestina che poi tanto clandestina non è. Sono oltre ventanni che a ogni stagione il popolo degli ultimi, complice il silenzio delle istituzioni, si spacca la schiena per pochi spiccioli all’interno di un sistema abbietto che corrompe, avvelena e inquina tutto cio’ che ricade sotto il suo raggio d’azione.


ABUSO.
L’anno nuovo sembra già vecchio. Le feste sono finite da un pezzo, lo spettacolo ricomincia. Una contraddizione in termini, ma non per la politica italiana che ci ha abituato alle cose piu’ incredibili. Tanto che la maggioranza continua a scannarsi a mezzo stampa di famiglia, in una sarabanda di fratelli-coltelli che non aiuta certo il buon governo. Dopo un 2009 horribilis che ha duramente colpito il mondo del lavoro, l’inerzia dell’esecutivo consegna al paese il diario di una dolorosa sconfitta sociale . In questo clima di sconforto fatichiamo a farci persuasi che il 2010 porterà una copiosa messe di riforme , a meno che come al solito non siano soltanto uno strumento-ponte fino al prossimo lodo Alfano. Su questo punto d'altronde la road-map del premier non lascia dubbi. Si intuisce al volo che prima di ogni altra riforma viene la giustizia, l’ossessione quotidiana del Cavaliere. Come diceva Remarque “ all’ovest nulla di nuovo”. E il dialogo? Risponde Anna Finocchiaro: " le decisioni prese al vertice con il premier e non in Parlamento sono come un dito nell’occhio". By-passare le Camere significa aprire la strada all’inciucio che è cosa non buona e ingiusta. In realtà a Berlusconi non interessa il bene della collettività, ma soltanto la sua impunità . Parla di leggi “ ad libertatem”, ma pensa a uno scudo “ ad personam” che lo ponga al riparo dai processi. A questo punto il centro dello scontro sarà sullo smantellamento della Costituzione. Sul passaggio dallo Stato di diritto allo Stato autoritario. Insomma siamo alle solite. Sullo sfondo di una stagione che si preannuncia carica di incognite torna a riccheggiare il monito di Marco Tullio Cicerone: per quanto tempo ancora Catilina abuserai della nostra pazienza!

BUGIE.
Era un tale istrione da riuscire con il trucco e con gli inganni a farsi osannare dalle folle oceaniche mentre portava l’Italia alla rovina. Sembra, detto con un filo di malizia, un personaggio contemporaneo, invece è il Mussolini privato della Petacci, l’amante gelosa e fedele fino alla morte. Nei diari di Claretta, di cui è stata pubblicata la prima parte, ci sono scarsi riferimenti alla politica, ma parecchie considerazioni umane sul Duce, il suo entourage e i cortigiani del fascismo. Ne viene fuori il ritratto di un dittatore che a buon diritto puo’ essere considerato il precursore del gossip tanto è abile a usarlo quale strumento demagogico per accrescere il consenso popolare. Non aveva la televisione, ma i reality dell’epoca, i famosi telefoni bianchi e i film di guerra che accreditavano l’immagine virile cara al regime , contribuivano a fare di Mussolini un irresistibile Don Giovanni, invidiato e ammirato dagli italici maschi in orbace. Pare insomma un “ papi” ante-litteram , un incantatore di serpenti che con una strizzatina d’occhio e un sorso di olio di ricino per i recalcitranti preferisce far vincere , anziché la verità, l’arte della retorica. Sappiamo purtroppo come ando’ a finire quel castello di bugie.