di Renzo Balmelli
VILE IMBROGLIO - Fosse servita una conferma, è arrivata dall'Ossezia. I conflitti regionali che si manifestano nelle nuove condizioni della competizione internazionale, non sono mai una faccenda locale. Quando esplodono come è accaduto nella regione caucasica, snodo cruciale di formidabili appetiti geopolitici oltre che energetici, rischiano di incendiare il mondo intero. E quand'anche fosse vero che dalle nostre parti, complice la scarsa conoscenza dei luoghi, non si è capito molto di quanto è successo in Georgia, l'impressione frammentaria che se ne ricava è comunque quella di un vile imbroglio consumato alle spalle della popolazione civile in nome di interessi inconfessabili. In questo senso, l’immagine del padre che stringe al petto il figlio morente nel lugubre scenario di una città ridotta in macerie ne è d'altronde la dimostrazione dolorosamente emblematica. Nel vedere e rivedere sui teleschermi quella dolente testimonianza della sofferenza umana, è tornata alla memoria con la violenza di un pugno allo stomaco la frase di Kennedy il quale ammoniva che se l'umanità non porrà fine alla guerra, sarà la guerra a porre fine all'umanità. Mai profezia fu tanto azzeccata. Difatti il rischio che stiamo correndo è proprio questo: di vanificare a causa delle intemperanze belliche gli sforzi finalizzati a produrre stabilità ed a governare le contraddizioni globali del terzo millennio. La pessimistica considerazione vale anche per questa ennesima crisi che, malgrado il cerotto diplomatico di Sarkozy, rischia di trascinarsi all'infinito per la presenza di molteplici fattori di instabilità latente che la rendono ingestibile. Tra le pieghe del conflitto, tutt'altro che chiuso, si intravvede infatti l'altra partita che si sta giocando senza esclusione di colpi nelle stanze dei bottoni, al di fuori del contesto periferico. E' la partita ancor piu’ insidiosa per le sorti del pianeta che segna il riacutizzarsi delle mai sopite rivalità tra gli Stati Uniti, forti della loro supremazia unilaterale, e la Russia che mira a recuperare in fretta il ruolo di superpotenza perso con la caduta dell’Unione Sovietica. Lo scenario è semplicemente da brivido. Con Putin e il suo neo-imperialismo di stampo zarista da una parte e l'Occidente che dall'altra ha nell'armadio lo scheletro ancora fresco dell'Iraq, il braccio di ferro tra est e ovest, nella peggiore delle ipotesi, minaccia di far tornare sugli altari la “balance of power”, il famigerato equilibrio del terrore dei tempi andati. In quest'ottica il cinismo delle teste calde che barano al tavolo della pace lascia sgomenti.
MARCIAPIEDI - Al giro di boa dei primi cento giorni, il Cavaliere si liscia le penne. A dargli retta, si direbbe che dal suo ritorno al potere cada la manna dal cielo. Ma, oltre lo stretto orizzonte della propaganda, la realtà non è esattamente quella riflessa dallo specchio deformante della “dolce vita” berlusconiana. In Italia la forbice tra ricchi e poveri si allarga sempre piu’, mentre il governo svia l'attenzione con iniziative discutibili come il "presidente spazzino", il gioco dei soldatini nelle città e lo zelo dei sindaci-sceriffo.
E però in questo "paese da marciapiedi" - cosi' in uno dei durissimi fondi di Famiglia Cristiana che hanno profondamente irritato il Vaticano - cresce il numero di chi per mangiare ha come unica risorsa quella di rovistare nei cassonetti: al di fuori di quanto si trova nella spazzatura non dispongono di altre opportunità per vivere. Se questo è l’uso che Palazzo Chigi fa della sua maggioranza “bulgara”, se la manovra finanziaria produce disparità indegne di un paese del G8, forse nello sconfinato autocompiacimento del premier una nota stonata c’è. O no?
IL ROSSO E IL NERO - Il goffo tentativo censorio di Sandro Bondi allo scopo di bloccare la diffusione del film sulle Br “Il sol dell’avvenire” al festival di Locarno, ha avuto se non altro il merito, di sicuro non cercato dal ministro, di levare i veli su uno dei periodi piu’ bui della democrazia italiana. Già Andreotti sostenne ai tempi del neorealismo che i panni sporchi andavano lavati in casa. Ma non poté impedire a quei capolavori di conquistare il mondo. Anche Bondi ha avuto torto. La ricerca del regista Gianfranco Pannone, primo esempio italiano di un filone documentaristico che in altri paesi è radicato da gran tempo, lungi dal vellicare intenti apologetici, ha disegnato con grande rigore formale la scarsa complessità e la mediocrità culturale dei terroristi. Nelle loro testimonianze non c’è rivisitazione critica né pietà. Malauguratamente, nella propaganda della maggioranza, la memoria condivisa sul recente passato ha senso unicamente se si fonda su una egemonia culturale nuova di zecca, naturalmente di destra, che porta a sottacere le responsabilità dell'altro terrorismo, non meno feroce, quello "nero" di stampo neo-fascista. Evidentemente, in un momento epocale di crisi c'è chi pensa a rileggere la storia a modo suo, in chiave ottusamente ideologica, per farne uno snodo decisivo sul quale esercitare maggiormente i tentativi di revisionismo. C’è solo da sperare che lo zelo un po’ bigotto di Bondi non scoraggi altre iniziative volte a riportare in superficie la riflessione sui mali oscuri dell’Italia.