Molte speranze si appuntavano sul vertice della FAO, ma le cronache registrano l’ennesimo fallimento
di Renzo Balmelli
CARESTIA
Uffa, che barba. Non se ne può più di questi poveri che hanno la pretesa di mangiare. Se non hanno pane, che prendano le brioches... Scherziamo ovviamente. Ma la nostra è ironia amara, amarissima, dettata dallo sconforto per la sorte di milioni e milioni di diseredati su cui pesa la minaccia della carestia. Molte speranze si appuntavano sul vertice della FAO, ma le cronache registrano l’ennesimo fallimento, l’ulteriore, inutile tentativo di ovviare con un balletto diplomatico alle drammatiche conseguenze di una tragedia umanitaria dalle dimensioni planetarie. Un’altra, tremenda delusione. Non è stata la prima, non sarà l’ultima. Dieci anni fa, quando la FAO varò il suo famoso programma per debellare la miseria, le vittime della fame nel mondo erano 12 milioni all’anno. Ora i morti sono saliti a 65 milioni. Nel medesimo lasso di tempo l’ingordigia e la prevaricazione dei ricchi ha raggiunto indescrivibili vertici di nequizia che ripugnano alle coscienze. Il controllo delle ricchezze mondiali è in mano al dieci per cento di privilegiati senza scrupoli e fino a quando non si rimuoverà questa che é la vera pietra dello scandalo, non ci sarà via di scampo per chi non riesce ad avere nemmeno un patata al giorno per nutrirsi.
SALTO CARPIATO
La legge contro i clandestini piaceva tanto alla Lega. Tosta, cattiva, punitiva. Ma era invisa alla comunità internazionale e al Vaticano che vi hanno ravvisato i germi di possibili derive xenofobe. Di fronte alla massiccia alzata di scudi, il premier non poteva rischiare una figuraccia mondiale e men che meno la sconfessione della Chiesa. Prima del famigerato ddl sugli immigrati, il Papa aveva lodato e benedetto "il nuovo corso berlusconiano" con una plateale manifestazione di sostegno che sapeva di ingerenza lontano un miglio. Dopo un abbraccio tanto caloroso non si potevano certo ignorare le sue parole.
Detto, fatto, il Cavaliere si è prodotto in un ginnico salto carpiato all’indietro con doppio avvitamento per derubricare il previsto reato di clandestinità, da lui stesso sottoscritto, alla più mite aggravante in caso di arresto. Le espressioni sul volto del ministro degli interni Roberto Maroni, ospite di Ballarò, erano tutte un programma. Vi si leggevano stizza, rabbia, delusione e quant’altro per un comportamento che apre la prima, vistosa falla nella coesione, a nostro modo di vedere più presunta che vera, del nuovo governo. Ma se Parigi val bene una messa, Roma val bene i mugugni dei lumbard.
AMICI, NEMICI
Chissà se negli Stati Uniti esiste un adagio simile al nostro “dagli amici mi guardi Iddio che ai nemici ci penso io”. Comunque sia, d’ora in poi il partito democratico non potrà più permettersi di mostrare la litigiosità esibita durante l’estenuante braccio di ferro tra Barak Obama e Hillary Clinton. A furia di tirarsi a fregare l’un l’altro, i due candidati, fortemente influenzati dalle ambizioni personali, hanno finito col portare acqua al mulino dei repubblicani ai quali sorride l’insperata prospettiva di lottare ad armi pari per la conquista della Casa Bianca. Il senatore dell’Illinois resta comunque il favorito dei pronostici e si trova a un passo dal realizzare il sogno che potrebbe portare il primo afroamericano della storia a varcare la soglia della stanza ovale, l’ufficio più formidabile del mondo. Con la nomination in tasca, Obama ha le carte in regola per riuscire nell’impresa a patto di poter contare sul sostegno incondizionato del suo partito, consapevole che l’avversario da battere non è la signora Clinton, bensì la destra conservatrice di John MaCain. Nel dubbio rivolgersi a Veltroni.